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Repubblica-PAlermo-LA SCUOLA, I DIRITTI E LA MIA ALUNNA CHE BATTE I DENTI

LA SCUOLA, I DIRITTI E LA MIA ALUNNA CHE BATTE I DENTI ...

05/02/2005
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la Repubblica

LA SCUOLA, I DIRITTI E LA MIA ALUNNA CHE BATTE I DENTI



La mia alunna che batte i denti avvolta nella sua giacca a vento, mentre tenta di prendere appunti sul Decameron di Boccaccio indossando i guanti di lana, mi dice tutta la mia impotenza di "operatore delle istituzioni". Devo invocare il destino crudele o l'ira di Dio o altre simili assurdità pur di evitare di dirle la cosa che più sarebbe da dire e che più mi mortifica: che c'è freddo perché la scuola non ci può fare niente. Da questo punto di vista forse è paradossalmente un bene, per la salute mentale di tutti noi insegnanti e studenti, che la materia Diritto, così come traspare dalle proposte del ministero per la secondaria superiore, scompaia da tutti o quasi gli ordini di scuola. Eviteremo così di blaterare idiozie su legalità, convivenza civile e Costituzione. Meglio non saperlo di esser portatori di diritti. Il diritto di non sentire freddo, di non rischiare una tegola in testa
E, ancora, il diritto a un ambiente di apprendimento che abbia i requisiti minimi perché una testa possa funzionare.
Quando fu istituita l'autonomia scolastica, si disse che le scuole avrebbero potuto risolvere più facilmente i loro problemi e progettare un'offerta formativa congruente con i bisogni del territorio. Era il 1997. Quando si pose mano al titolo V della Costituzione, che istituì il federalismo scolastico sul quale oggi cavalca agevolmente la riforma Moratti, si disse che in tal modo le istituzioni sarebbero state più vicine alle scuole. Era il 2001. Sarebbe utile intervistare i cittadini-bambini e i cittadini-studenti su quanto le scuole in cui studiano siano capaci di rendere la loro permanenza gradevole e su quanto le istituzioni locali siano capaci di intervenire tempestivamente per il medesimo scopo.
Il paradosso è che va erodendosi in tutte le scuole la ragione di fondo che dovrebbe giustificare tutte le educazioni e tutti gli insegnamenti ovvero l'idea che la Repubblica ha il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (articolo 3 della Costituzione). È diventato impossibile spiegare a bambini e giovani che la Repubblica non rimuove un bel niente, se ogni giorno imparare vuol dire fare i conti con tutto ciò che, anziché rimuovere ostacoli, ne moltiplica la pervasività e l'incidenza nefasta su tutto il fare scuola quotidiano.
Si potrebbe riformulare quanto appena detto istituendo un'equazione paradossale: autonomia uguale impotenza. Nella scuola dell'autonomia chi vuol fare qualcosa incontra una serie di lacci, laccioli, protocolli e procedure che, in nome della trasparenza e della rendicontazione, finiscono per bloccare la soluzione dei problemi più elementari. I dirigenti ccolastici non sono mai stati così impastoiati nella burocrazia e il loro spazio di intervento nella soluzione dei problemi si restringe sempre più. La piastra di riscaldamento non funzionante per la quale la mia alunna (e i suoi compagni, ovviamente) batte i denti non funziona da tre anni e nessuna presidenza fin qui è riuscita non dico a farla funzionare, ma a creare le elementari condizioni perché si comprenda il motivo della disfunzione. Gli insegnanti di questa classe, avamposto delle istituzioni fantasma, al massimo battono i denti con i loro studenti, ma non possono dire una parola che abbia senso sulla soluzione di quel problema. E insegnano le discipline, tutte le discipline, evitando riferimenti troppo enfatici allo Stato, alla legalità, alla cosa pubblica. Oppure mantenendo ferma la barra del timone sulla cittadinanza come valore di fondo, ma precisando che purtroppo qui non è possibile e perpetuando la pericolosa dicotomia, tutta siciliana e gattopardesca, tra ciò che dovrebbe essere e ciò che purtroppo è perché da noi non cambierà mai nulla. Viene da rinegoziare il significato di "offerta formativa" che campeggia in tutti i documenti istituzionali delle scuole autonome impotenti: a cosa dovremmo formare?
Mi chiedo se si riesca a comprendere che la posta in gioco non è soltanto il freddo. C'è qualcosa di più pernicioso che si annida, a mio parere, negli animi di bambini e giovani cui ogni giorno si propone questo menu. Non solo c'è la disaffezione se non il disprezzo per tutto ciò che abbia il vago sentore di pubblico e di istituzionale, ma cresce sempre più anche la disaffezione per lo studio e per i saperi della scuola che risultano sganciati da una prospettiva formativa forte e dichiarata. Il guaio è che, nelle superiori, questa disaffezione si riveste di presunte rivendicazioni antiministeriali (di qualsiasi colore politico siano i ministeri) soltanto nel mese di dicembre. Pronti a occupare le scuole, con impeto sessantottesco, verso tutti i nemici possibili, vicini e lontani, i nostri adolescenti stanno seduti con i berretti di lana nel mese di gennaio quando si avvicina la fine del quadrimestre e non è il caso di perdere giorni di scuola. Pur di arraffare un sei in matematica, mi becco il freddo e faccio finta di niente oppure protesto per un po' ma senza graffiare più di tanto. Lo Stato odioso e insopportabile nel mese di dicembre me lo tengo caro per tutto l'inverno perché comunque un pezzo di carta me lo darà e non è il caso di farlo arrabbiare troppo.
Maurizio Muraglia


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