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Repubblica/Palermo: La "linea dura" non risana la scuola

Nella crociata contro bullismo e cellulari una falsa rappresentazione dei nostri studenti

27/03/2007
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la Repubblica

MAURIZIO MURAGLIA

Solo chi conosce la scuola attraverso i media si sorprende di quel che sta succedendo nelle aule. Si sorprende e si scandalizza. Non siamo sommersi soltanto da immagini e filmati più o meno turpi. Siamo sommersi anche dagli opinionisti di destra e di sinistra che, dopo aver scoperto l´acqua calda, cioè che i ragazzi a scuola ne pensano e ne fanno di tutti i colori, invocano pene rigorose e atteggiamenti esemplari da parte di chi ha il potere di intervenire. L´irrigidimento delle regole e la deriva punitiva è l´ultima trincea dell´impotenza collettiva. Amelia Crisantino ci ha rappresentato su Repubblica di sabato la situazione disastrosa della scuola siciliana e palermitana e dalla sua analisi emergono con chiarezza le gravi responsabilità di chi governa la cosa pubblica in ordine agli investimenti sulla scuola e sulla formazione.
Se le inadempienze della politica sulla scuola sono sotto gli occhi di tutti, la politica non trova di meglio che lanciare la crociata sul bullismo e sui cellulari, col consenso di una parte di insegnanti nostalgici del buon tempo antico che ormai si accontentano di queste misure per sperare di avere la meglio sul Moloch socio-familiare-mediatico che li sovrasta.
Multare, proibire, sanzionare sono diventate la foglia di fico di un sistema che fa acqua da tutte le parti, in Italia come in Sicilia, perché continua a pensarsi come sistema da tenere al riparo dai guasti della società, della famiglia e dei media. Come se presidi e insegnanti non fossero anch´essi società, famiglia e utenti dei media. Come se i figli dei presidi e degli insegnanti fossero il risultato di un´educazione perfetta e basata sui sani-principi-di-una-volta. Come se si potesse blindare la scuola e considerarla qualcosa che, ahimè, subisce le influenze esterne senza poter influire a sua volta, con la sua organizzazione, con i suoi stili comunicativi, con la qualità dei saperi che trasmette, sui ragazzi che la frequentano.
Persino gli opinionisti che afferirebbero alla sinistra invocano il sette in condotta e l´inibizione dell´accesso (!) ai cellulari attribuendo la deriva giovanile ad una presunta «pedagogia cattocomunista» che avrebbe determinato i guasti dell´educazione. Siamo a un passo dall´invocare la pedagogia ottocentesca, con tanto di bacchettate nelle mani e orecchie d´asino. Forse bisognerebbe spiegare a questi signori che in classe non ci sono mai andati che il difetto di quella pedagogia è stato di non essere stata mai applicata se non in una versione banalizzata, di generica accoglienza e di ancor più generica socializzazione.
Qualcuno, in Italia come in Sicilia, persa la partita del comunicare, dell´educare e dell´insegnare, si è convinto che il problema delle scuole è il problema delle regole e dei divieti. E´, con tutta evidenza, qualcuno che i ragazzi li conosce per sentito dire. Magari è anche qualcuno capace, con singolare incoerenza, di strombazzare che la pena di morte non serve a scoraggiare i malviventi e di applicare soltanto alla scuola quello schema di pensiero trasgressione-repressione che può funzionare a breve termine ma non risolve un bel niente a quel livello che ci dovrebbe realmente interessare.
Il preside Tripodi al "Volta" ha adottato la linea dura e non c´è niente da obiettare. Si potrebbe fare lo stesso in tutte le scuole palermitane e non ci sarebbe nulla da obiettare. Ma c´è qualcuno che è veramente convinto che in tal modo otterremo non solo l´educazione ma anche la bravura dei ragazzi? Oppure, una volta cessata la ventata repressiva, ammaineremo le bandiere dicendo che la scuola ci ha provato, ma che la società, le famiglie e i media blablabla?
Le condizioni ambientali del fare scuola, la gratificazione economica, la motivazione e la formazione degli insegnanti, gli investimenti sugli organici e sul precariato, la sensatezza dei saperi e dei curricoli, la stabilità degli ordinamenti sono questioni che vengono dopo il cellulare in classe? La barbarie è tutta fuori dalla scuola? Quando abbiamo proibito il cellulare e abbiamo ripristinato il delirio del sette in condotta abbiamo messo il sistema nelle condizioni di funzionare? C´è qualcuno che ne è convinto e sia in grado di argomentare pedagogicamente una simile convinzione?
Con il rispetto profondo che si deve ai colleghi che lavorano in condizioni estreme, dove i ragazzi minacciano di morte gli insegnanti, non si può non ricordare che proibizioni e punizioni non sono il presupposto di una qualsiasi relazione educativa, ma semmai uno dei possibili aspetti. O si cercano seriamente le condizioni per un contatto, quale che sia, con i ragazzi, o il sequestro dei telefonini e le multe non faranno che inasprire il conflitto. Non ci vogliono né psicologi né sociologi per capire che l´inasprimento repressivo moltiplica a dismisura il desiderio di trasgressione. Lo scriveva già venti secoli fa Paolo di Tarso nelle sue lettere. La legge ci vuole, scriveva, ma la sola applicazione della legge non ha mai trasformato niente e nessuno. Ci vuole dell´altro. Ci vuole, nel nostro caso, il ripristino delle condizioni di fiducia reciproca che rendono plausibile una relazione educativa. Accusare i genitori di fare gli avvocati, i ragazzi di essere iperprotetti e gli insegnanti di essere demotivati e poco preparati non serve a niente. La politica lasci stare i cellulari e crei le condizioni strutturali per il ripristino del patto generazionale. Poi a fare il patto ci penseranno gli insegnanti, le famiglie e i ragazzi stessi che, lo si voglia credere o no, anche quelli più terribili, una volta scrostata la corazza che si sono messi addosso per proteggersi dall´inferno sociale e familiare, sono molto migliori di come li si vuole dipingere.


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