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Repubblica-Palermo-I progetti che possono aiutare gli studenti

LA POLEMICA I progetti che possono aiutare gli studenti IDA PIDONE Io non so se "...

08/12/2005
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la Repubblica

LA POLEMICA
I progetti che possono aiutare gli studenti
IDA PIDONE


Io non so se "qualche preside manager e qualche collegio dei docenti avventuriero" avranno voglia in Sicilia di proporre e adottare la barriera del numero chiuso per far fronte all'ondata di piena delle iscrizioni nei licei. Concordo con quanto sostiene Maurizio Barbato nel suo articolo del 26 novembre sul rischio di una tale inopinata (e, quindi, probabile) eventualità: si tratterebbe non solo di un'abdicazione, ma anche di un tradimento del ruolo di presidio democratico che tutta la scuola, in ogni suo grado e in ogni suo indirizzo, deve svolgere in quanto istituzione pubblica verso ogni suo cittadino.
Osserva Barbato che è in atto fra le famiglie siciliane una sorta di corsa alla scuola rifugio, al liceo che dovrebbe accogliere e tutelare la già protetta prole dalle sbandate, dall'estemporaneo sperimentalismo didattico fai da te, dall'euforia pedagogica del progetto per il progetto, della scuola velleitaria e accattona degli ultimi anni, resa ancor più precaria e indefinita nell'attuale era Moratti. In una parola, la Scuola dei progetti, ma senza progetto e di "bambole, non c'è una lira". Eppure sulla scuola di ogni grado e di ogni indirizzo che i progetti li fa - nel senso che li pensa, li discute, li propone, li approva e li attua - su questa scuola che dà ogni giorno testimonianza di lavoro e di impegno, io qualche cosa vorrei dirla. Senza retorica, sapendo bene che la modesta gratificazione economica (ma quale lavoro non si retribuisce?) finisce con l'essere, per i docenti impegnati, una integrazione di stipendio, quel salario accessorio di cui parla Giorgio Cavadi su "Repubblica" di mercoledì 30 novembre.
Entrambi gli autori degli articoli, sia pure con motivazioni e toni diversi, parlano chiaramente di svilimento del lavoro degli insegnanti durante le ore frontali, quelle curriculari e obbligate della loro attività professionale, a vantaggio di più o meno superflui e fantasiosi "progetti".
Siano essi finanziati con fondi europei, in base a misure Por, Pon, o più semplicemente e in quantità molto più contenuta dai risicati fondi delle istituzioni scolastiche. Fondi, questi ultimi, che servono quasi esclusivamente per realizzare gli stessi progetti, per finanziarne i costi e per offrire agli studenti un'occasione in più in termini di motivazione, di opportunità, di crescita culturale. Per aiutarli a capire e a capirsi, per fornirgli alcuni strumenti e, insieme, altri contenuti con cui orientarsi e difendersi nel vuoto delirante e nell'afasia tecnologica dei reality, dei videotelefonini e di tutto ciò che ne consegue.
Il disastro culturale che è stato prodotto dagli spumeggianti anni Ottanta in poi è profondo e trasversale e le responsabilità sono certamente di tutti, anche se in misura diversa. Gran parte di quanti lavorano nella scuola, tuttavia, anche in presenza di direttive nebulose, salvifiche o accomodanti al ribasso, questo declino hanno dovuto tentare di arginarlo o, almeno, di gestirlo: immagino che tutto ciò gli autori dei due articoli lo sappiano bene, tanto più quando uno di loro, Cavadi, lamenta e denuncia l'assenza di qualunque altra forma di intervento sociale e istituzionale sul territorio.
In questo senso mi è parso di cogliere una patente ma forse obbligata contraddizione a proposito del ruolo proprio e di supplenza che le scuole sono costrette a svolgere. Credo che stia esattamente qui - e non solo per quanto riguarda le zone cosiddette "a rischio" - il termine fondamentale della questione: non si tratta soltanto di quanto e di come il come fare scuola, ma il senso stesso della sua funzione, la riconoscibilità e il riconoscimento del suo essere istituzione, anche se specialissima, insieme con le altre istituzioni.
Accade, invece, che le istituzioni giochino a non riconoscersi reciprocamente o sono costrette a farlo; accade che anche quelle più vicine (comune, provincia, regione) molto raramente decidano di costruire una strategia condivisa e di perseguire obiettivi che abbiano come interesse primario e precipuo quello di promuovere formazione e cultura. Parlo ovviamente di cultura in termini di conoscenza e di cittadinanza attiva. Penso, a esempio, all'occasione offerta ai cittadini piemontesi dal Festival Storia di Saluzzo, ai ragazzi di Roma che vanno ad Auschwistz e in Ruanda con il sindaco Veltroni.
Penso alle nostre scuole più o meno di frontiera, a chi le frequenta e a chi ci lavora; penso poi ai festini e alla politica dei "grandi eventi"e dei grandi annunci. Là "panem", qua "circenses", o pressappoco. Penso naturalmente anche alle varie finanziarie, ai tagli operati alle spese sociali da parte degli enti locali, ma anche alle opzioni politiche che dirottano con il buono scuola risorse verso il privato.
In considerazione di queste e di tante altre cose, credo che sarebbe utile e conducente assumere, qualche volta, il punto di vista degli studenti e delle studentesse, specie di quelli che non hanno alle spalle famiglie molto esigenti, di vaste e buone letture e attrezzate per fornire alternative e integrazioni alla formazione dei loro figli. Aggiungo, inoltre, che non mi pare affatto peregrino che la legalità, nella amplissima gamma delle proposte didattiche possibili, sia argomento di studio, dentro e fuori i "progetti". Non qui, certamente. Ma anche questo i colleghi autori degli articoli, forse un po' inconsapevolmente e gratuitamente ex cathedra, lo sanno bene.


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