Repubblica/palermo: "Emigrati per nostro figlio adesso studia come gli altri"
Parla la madre di un ragazzino con un disturbo del linguaggio: si è trasferita con il marito a Parma
LA STORIA
Giuseppe cominciò in una elementare della città. Ma lo trovavamo in corridoio a fare la schedina coi bidelli
Emigrare per carenza di servizi: ai siciliani può accadere anche questo. È la storia di una famiglia palermitana, con un ragazzino portatore di handicap, che tre anni fa ha deciso di lasciare la Sicilia per offrire al figlio una vita più normale, nel tentativo di affrancarsi dall´emarginazione «provata in otto anni a Palermo».
Il padre di Giuseppe (lo chiameremo così) lavora in banca, la mamma insegna alla scuola elementare. Lui è affetto da un ritardo intellettivo non grave, complicato da un grave disturbo del linguaggio. Sono tutti palermitani di nascita. Giuseppe è uno di quei casi, per fortuna non disperati, per i quali la scuola può fare tanto. Comincia la sua vita scolastica in una scuola materna privata. «Ma quando è dovuto passare alla elementare - racconta la madre, Rossella Arnao - si sono presentati i primi problemi: nella privata il sostegno non era garantito. «Fummo allora costretti - continua - a iscrivere Giuseppe alla scuola elementare di via Dogali, dipendente dall´istituto comprensivo Boccadifalco».
Lì cominciano i problemi. I genitori dei compagni non vogliono un handicappato in classe. E Rossella, malgrado il sostegno delle maestre e della preside, Liana Di Mitri, si scontra con l´ostilità di altri genitori. «Per non incontrarli ero costretta a far uscire mio figlio prima degli altri e a farlo entrare dopo. Le maestre in classe facevano un buon lavoro di integrazione, ma tutto veniva smontato a casa dalle famiglie», racconta. In terza elementare Giuseppe scoppia, diventa ingestibile, regredisce e viene bocciato.
La famiglia Ciraulo decide allora di cambiare zona e lo iscrive in una scuola statale nei pressi di viale Strasburgo. Il primo anno le cose vanno bene, la maestra di sostegno è brava e si cominciano a vedere i risultati. Sì, perché Giuseppe può fare molto ma deve essere aiutato. Lo dice il professore Gabriel Levi, ordinario di Neuropsichiatria alla Sapienza di Roma, al quale la famiglia porta il bambino per le visite periodiche. La mamma li definisce «viaggi della speranza».
Ma l´anno successivo le cose cambiano radicalmente: la maestra di sostegno se ne va e al suo posto ne arriva un´altra: per il piccolo Giuseppe ricomincia il calvario. Il Centro servizi amministrativi (l´ex provveditorato agli studi) gli assegna solo quindici ore di sostegno alla settimana, nelle rimanenti nove il bambino è seguito dalle maestre della classe, che non possono certo fare miracoli. «Giuseppe spesso esce dall´aula. Io e mio marito - ricorda con rabbia la mamma - lo trovavamo in compagnia dei bidelli che gli facevano compilare le schedine del totocalcio. Uno di loro, una volta, mi disse: "Se faccio 13 lo devo a suo figlio"». Altro che attività di socializzazione, integrazione e lavori di gruppo, come aveva prescritto il neuropsichiatra.
In quarta elementare Giuseppe è affidato a un´insegnante di sostegno invalida, in quinta cambia ancora. Viene promosso, ma non fa progressi, e la famiglia comincia a pensare alla scuola media. I genitori si convincono che Giuseppe a Palermo non abbia futuro e decidono di emigrare al Nord: il padre chiede il trasferimento e lo ottiene. La decisione è difficile, perché sono costretti a lasciare l´altra figlia, venticinquenne, a Palermo. Si trasferiscono nel piccolo comune di Collecchio, in provincia di Parma, e per loro comincia una nuova vita. «Qui il provveditorato e l´ufficio scolastico regionale funzionano alla perfezione - dice Rossella Arnao - Quando siamo arrivati, si sono messi tutti a disposizione».
Ma cosa c´è di eccezionale a Collecchio? «Semplice, tutti i servizi scolastici (mensa, trasporto dei disabili, assistenza H) di pertinenza del Comune iniziano il primo giorno di scuola», spiega la mamma di Giuseppe. Dalle nostre parti le cose vanno diversamente. Giuseppe, che ha frequentato la media, ha il massimo del sostegno consentito dalla legge. E quando l´insegnante non è in classe con lui, non resta mai da solo perché il Comune gli ha affidato un assistente H e un educatore specializzato. «A Palermo, quando l´insegnante di sostegno era assente, la scuola ci pregava di tenerlo a casa», ricorda la madre.
Ma non basta un "educatore" in più per stabilire che al Nord la scuola funziona meglio. «A Palermo non abbiamo mai avuto l´assistente del Comune», si accalora la signora Arnao. Non è tutto. Durante i pomeriggi, a Collecchio, Giuseppe (per dodici ore alla settimana) è seguito dall´educatore che lo aiuta a fare i compiti, lo porta a fare equitazione e calcetto e gli insegna a diventare autonomo. Il suo angelo custode, per esempio, gli sta insegnando a prendere l´autobus.
«Qui ho potuto riprendere a lavorare - spiega Rossella - a Palermo eravamo costretti a rimanere a scuola con nostro figlio: mio marito si era dovuto addirittura mettere in aspettativa». Ora Giuseppe è rinato. «I suoi progressi sono sotto gli occhi di tutti - dice la mamma - qualche giorno fa mi ha chiamato la professoressa di Matematica per complimentarsi. Mio figlio è riuscito a calcolare il perimetro di un triangolo rettangolo, e la preside mi ha convocato per cominciare a parlare dell´orientamento dopo la media: scuola superiore o istruzione professionale? Si vedrà, sta di fatto che qui i disabili lavorano, e questo l´importante».
s. i.