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Repubblica-Palermo-Deregulation e populismo

GIORGIO CAVADI il sistema-scuola del nostro paese versa oggi in uno stato confusionale e appare privo di una direzione di sviluppo. Bloccata la riforma dei cicli, tagliate le ali all'autonomia sco...

07/11/2002
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la Repubblica

GIORGIO CAVADI
il sistema-scuola del nostro paese versa oggi in uno stato confusionale e appare privo di una direzione di sviluppo.
Bloccata la riforma dei cicli, tagliate le ali all'autonomia scolastica, il primo passo eclatante della politica scolastica di questo governo è stata la modifica dell'esame di Stato alla fine del ciclo delle scuole superiori, di fatto destituito di buona parte della sua validità didattica e pedagogica allorché è stato affidato alle sole commissioni interne; il gioco combinato della legislazione nazionale e di quella regionale ha fatto sì che noti diplomifici si sono ritrovati ad avere in un colpo solo molto più di quello che un "preside" di scuola privata ha sempre agognato: non una commissione addomesticabile, ma addirittura una commissione addomesticata. Nel frattempo la signora Moratti continuava a rimediare magre figure in Consiglio dei ministri, dove sommava bocciature sia nel merito delle proposte che sul piano delle richieste economiche; mentre appariva ciò che con la legge finanziaria prossima è chiaro per tutti, e cioè che il comparto della scuola serve a questo governo per "fare cassa" e null'altro.
All'inizio di questo anno scolastico (decreto del 18 settembre) contro ogni logica e contro il parere non politico, ma tecnico e, diremmo, del buon senso del Consiglio nazionale della pubblica Istruzione e dell'Anci, è partita una sperimentazione che stravolge l'organizzazione interna della scuola, e risulta priva di un metodo effettivo nella realizzazione e nella valutazione e validazione dei risultati.
Si tratta di una semplice azione di propaganda che chiama, ad anno scolastico avviato, a "riorganizzare le sezioni, ristrutturare spazi, rimodulare tempi...". E reintroduce l'insegnante prevalente nonostante in una ricerca Istat commissionata dal Miur il 60 per cento dei genitori e il 59 dei docenti abbiano scelto l'organizzazione scolastica per moduli e solo il 12,4 per cento dei genitori e il 22,4 dei docenti si sia espresso per il maestro prevalente.
Appare chiaro che riforme e sperimentazioni partono senza alcuna condivisione dell'innovazione, ma come una sollecitazione calata dall'alto secondo un modello burocratico amministrativo non nuovo nella tradizione italiana, privo di alcun accompagnamento culturale nemmeno minimamente paragonabile alla mole di riflessioni, esperienze e proposte che le associazioni professionali, ricercatori e sperimentatori misero in atto nei due anni che accompagnarono la riflessione sui nuovi programmi della riforma berlingueriana dei cicli. Una valutazione del merito della sperimentazione, infatti, non avverrà mai per il semplice fatto che nella scuola italiana non esiste alcun sistema efficace di controllo dei risultati; e per efficace si intende un controllo non cartaceo, ma effettivo e operante attraverso esperti della valutazione che agiscano direttamente nelle singole istituzioni scolastiche.
D'altra parte, ed è l'altra faccia della questione, l'apertura alle scuole paritarie di ogni tipo, avviene appunto in questo quadro di assenza di confronto (controllo) delle procedure e dei risultati seguendo una deriva che è propria della Casa delle libertà: deregulation selvaggia e ammiccamenti populistici. E infatti i diplomifici chiudono, non perché scatti l'autocontrollo del sistema, ma perché arrivano la Guardia di Finanza e la magistratura, secondo una dinamica ben nota dell'Italia di tangentopoli (approfitto per segnalare sulle televisioni private di Palermo, gli illuminanti spot delle scuole palermitane oggetto di indagine, con le insegnanti-cubiste in pose pedagogicamente efficaci: alle insegnanti "letterine" e non letterate non ci avevamo ancora pensato!).
L'iconoclastia antiberlingueriana è proseguita con la imminente soppressione delle Scuole di specializzazione per la formazione degli insegnanti, frutto di un modello avanzato di formazione iniziale, ormai a regime dopo un faticoso avvio, ma vittime anche del sistema di pesi e contrappesi interno all'università italiana che, infatti, avocherà a sé per intero questo segmento formativo, seppellendo l'unico momento di vera ed efficace collaborazione fra scuola ed università effettivamente realizzatosi in Italia. Ora è all'orizzonte un nuovo intricato e fumoso iter formativo, nel quale una cosa è evidente: l'apertura di un ennesimo corso di laurea che garantirà sopravvivenza a molti docenti e creerà nuovi insegnamenti universitari.
In conclusione: il comparto scuola serve per fare cassa; la sedicente riforma è un atto burocratico-amministrativo privo di alcun accompagnamento culturale condiviso; il complesso delle istituzioni formative subisce innegabili contraccolpi negativi con una serie di azioni che ne abbassano il livello, in nome di una supposta parità fra pubblico e privato. L'arretramento dello Stato in favore del mercato dell'istruzione avviene, da un lato, depotenziando il sistema pubblico della scuola dove risiede la maggiore concentrazione di eccellenze, dall'altro si fanno giungere ingenti risorse finanziarie al privato in un quadro di deregulation selvaggia, nel quale la concorrenza si attuerà non sulla qualità dei profili d'uscita, ma sulla facilità con cui si potrà ottenere la validazione del corso di studi seguito, il famoso "pezzo di carta".
Nel frattempo, la ricerca di un compenso accessorio che integri i magri stipendi dei docenti, ha aperto, ma già da qualche anno, la caccia al "progetto" da realizzare per "ampliare l'offerta formativa" con il risultato, sempre più evidente, nella scuola dei progetti, dell'assenza di un progetto di scuola.
GIORGIO CAVADI


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