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Repubblica/Palermo: Adolescenti siciliani, la modernità senza futuro

gli insegnanti stanno in mezzo, un po´ operatori culturali ma molto di più sorveglianti, tanto che il primo riflesso è quello di giustificarsi:

21/01/2007
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la Repubblica

AMELIA CRISANTINO

Chi quotidianamente vive a contatto con gli adolescenti sa quanto diffusa sia l´abitudine di «cercare un po´ di sballo». Utilizzando di tutto, dalla casalinga birra e dal vino ai superalcolici tanto facili da trovare. Le canne sono un modo fra i tanti, oggi il proliferare di sostanze create dalla chimica le ha rese il modernariato dello sballo. Resiste però il loro più grave effetto collaterale: essendo una merce illegale, i consumatori bazzicano ambienti e personaggi da cui ogni madre vorrebbe tener lontani i propri figli. Che nel frattempo crescono, abituandosi a considerare con allegra irrisione le regole ufficiali della società degli adulti. Il buon senso laico sa bene quello che normalmente avviene con i proibizionismi - l´America di Al Capone è un caso da manuale - quando vietare una merce diffusa e renderla illegale moltiplica i danni, mentre crea fortune economiche per i trafficanti.
Ma, lasciando stare le analisi socio-economiche a largo raggio, proviamo a riflettere su quanto è accaduto giovedì scorso in città. Su come un diciottenne possa finire in carcere, arrestato davanti alla sua scuola con l´accusa di spaccio, mentre intorno a lui gli adulti prendono le distanze e rimarcano le differenze. Anche se i ragazzi di quella stessa scuola dicono che quasi tutti fumano, «uno su due, ma è una cosa normale». E come sempre gli insegnanti stanno in mezzo, un po´ operatori culturali ma molto di più sorveglianti, tanto che il primo riflesso è quello di giustificarsi: «non sapevamo che ci fosse qualcuno che spacciava droga tra un´ora di lezione e l´altra». Sappiamo che in tempi di autonomia il buon nome di una scuola passa attraverso molti indicatori, e come il vedere associato il proprio istituto alle retate antidroga possa far temere un calo nelle iscrizioni.

Ma lo stesso sembrano operatori culturalmente disarmati: di fronte alle canne che nell´ora di ricreazione hanno sostituito le vecchie sigarette, non ci si può comportare come se il fenomeno non esistesse. Perché allora i casi sono due. O il perbenismo, il chiudere gli occhi e non volere vedere è la regola non detta cui improntare anche i propri pensieri; oppure i ragazzi formano un continente talmente lontano da noi da risultarci sconosciuto, con cui i contatti sono labili, limitati allo stretto necessario, spesso insinceri. E la scuola, senza nulla togliere ai tanti insegnanti che fanno miracoli per tenerla in piedi, rischia di diventare il volto visibile di una distanza emotiva normalmente praticata dagli adulti verso i ragazzi.
Sono fenomeni che avvengono ovunque, la crisi delle identità e la percezione di un futuro poco rassicurante rendono difficile ogni compito educativo. Ma da noi c´è sempre come un di più, un accentuarsi delle tinte che rimanda a strutturali emergenze mai risolte. Così, se ovunque nel mondo privilegiato di cui facciamo parte si avvertono poco rassicuranti segnali di crisi, se ovunque ci sono difficoltà a rispondere alla domanda di senso che sempre i ragazzi rivolgono agli adulti, da noi le cose sono più malmesse che altrove. Perché, tranne poche lodevoli eccezioni, in Sicilia non si pensa ai giovani. Educati alla mortificazione in ogni momento della loro vita sociale, i nostri ragazzi crescono senza che si provi a farne dei cittadini. Non hanno diritti, non ricevono stimoli, non sono inseriti in alcuna prospettiva. Consumano merci come i loro coetanei, ma sono diversi. Altrove dominano incontrastate la tecnica e l´economia, che non sempre sono accattivanti e anzi praticano un dominio cieco sugli individui. Ma solo qui, qualunque cosa succeda al mondo, la storia è rimasta intrappolata in una dipendenza assistita senza futuro. Dove, prima di debuttare come disoccupati e in gran parte andar via, i ragazzi sono solo un problema.
Ragazzi irrequieti, spesso frustrati, avviliti nel paragone perdente con un mondo dove tutto sembra più luccicante. E la società li lascia scivolar via. Non ha pronto da offrigli alcuno scopo, non ha preparato niente: né per la loro giovane vita, né come appartenenza e destino collettivo, come riferimento che potrebbe placare le loro inquietudini. Ragazzi che restano a vagare in una fittizia libertà, senza apparenti ostacoli e senza obiettivi.
Nelle parole del suo insegnante il diciottenne finito in carcere è descritto come tranquillo, taciturno, seguito dalla famiglia. Gli auguriamo che l´accusa di spaccio non si trasformi in una profezia che realizza se stessa, che il marchio non lo segni indirizzandone i comportamenti, sino a tragicamente trasformarlo in un vero spacciatore. È solo un campione rappresentativo dell´adolescente medio, non abbastanza furbo da comprendere che il suo piccolo commercio poteva costargli caro. È stato sfortunato. Ma il suo caso rende per un momento visibile quel mondo giovanile che normalmente pratica l´illegalità. Vivendola come un piccolo rischio, niente di che. Andando in giro per la città capita spesso che vicino le scuole, i bar e persino davanti la Cattedrale si vedano dei ragazzi seduti su un gradino a fumare. Non si nascondono, basta guardarsi intorno. Allora viene da pensare alla grande ipocrisia di una società adulta, la nostra, che ogni tanto colpisce e criminalizza. Ma in gran parte lascia correre, perché impossibili da perseguire sono i reati quando diventano tanto comuni. Nel frattempo, a lasciare veramente il segno è il messaggio che per i furbi le regole non sono una cosa seria.


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