Repubblica/Milano: Gerontocrazia e privilegi soffocano l´Università
alla certezza del fatto che il sistema universitario non funziona come dovrebbe e come potrebbe fare, possiamo aggiungere anche la forte convinzione che la riforma imposta agli atenei dal ministro dell´Istruzione Mariastella Gelmini non sia una cura adeguata ai problemi di cui soffre
Gerontocrazia e privilegi soffocano l´Università |
ALESSANDRO ROSINA |
Così com´è, l´Università italiana è oggettivamente indifendibile. Chi vuole parlarne male può trovare ragioni in abbondanza. Certo, non mancano gli esempi virtuosi e le realtà d´eccellenza, che appaiono, però, come oasi felici, strenuamente resistenti a un processo di desertificazione in corso. Divisa in potentati, terreno di scontro tra bande di predoni, l´Università non è certo il mondo migliore nel quale uno studente può incrementare al meglio il proprio capitale umano e nel quale un giovane può fare ricerca con la speranza fondata di vedere riconosciuta e valorizzata la qualità della sua attività didattica e scientifica. Ma alla certezza del fatto che il sistema universitario non funziona come dovrebbe e come potrebbe fare, possiamo aggiungere anche la forte convinzione che la riforma imposta agli atenei dal ministro dell´Istruzione Mariastella Gelmini non sia una cura adeguata ai problemi di cui soffre. È chiaro a tutti che questo governo con i propri interventi pensa prima di tutto a fare cassa. Poi viene, semmai, il resto. Tanto, infatti, i tagli sono consistenti e tempestivi, quanto pallidi e diluiti appaiono gli incentivi previsti verso un percorso virtuoso da imboccare.Cerchiamo allora di entrare nel concreto e di capire come dovrebbe funzionare un sistema davvero efficiente e meritocratico, funzionale allo sviluppo del Paese. In primo luogo l´istruzione dovrebbe essere, nei fatti, accessibile a tutti. Se l´università vuole tornare a essere uno strumento di mobilità sociale, la possibilità di completare gli studi con successo deve dipendere più dalle effettive capacità dei singoli e meno dalle caratteristiche della famiglia di origine. Se siamo uno dei paesi che producono meno laureati, è soprattutto per il basso contributo delle classi sociali medio-basse. I dati Eurostat mostrano come solo il dieci per cento dei giovani italiani con padre non diplomato riesca a laurearsi, uno dei valori più bassi del mondo avanzato. Il problema non è solo quello dell´accesso, ma anche del maggior rischio di abbandono. Negli stessi atenei lombardi, oltre uno studente universitario su cinque non arriva a iscriversi al terzo anno. È quindi fondamentale investire di più sul diritto allo studio, con un miglior orientamento e maggiori borse di studio. Una seconda forte esigenza è quella di ridurre la gerontocrazia, puntando a un consistente ricambio generazionale. L´età media dei professori italiani è una delle più elevate al mondo. Una vera riforma dovrebbe dare un forte segnale di discontinuità rispetto alle logiche di potere del passato e riallineare le caratteristiche dei nostri atenei a quelle delle realtà più dinamiche e innovative. Mandare in pensione gli ultra sessantacinquenni è una cura drastica, traumatica, ma che risulterebbe in prospettiva fortemente benefica. Oltre a decapitare gran parte del sistema baronale, si libererebbero risorse da investire nel reclutamento e nell´avanzamento di carriera dei più giovani con criteri strettamente legati alla qualità e al merito. Per non disperdere il patrimonio di valore ed esperienza dei migliori tra i più anziani, si potrebbe prevedere per essi un´uscita flessibile con adeguati contratti rinnovabili. Sembra un mondo rovesciato, ma è proprio di un´inversione a U che l´università ha bisogno se vuole mettersi sulla strada giusta e guardare alle opportunità del futuro anziché continuare a difendere le rendite del passato. |