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Repubblica-L'esercito di analfabeti che frena la Sicilia

LA RICERCA L'esercito di analfabeti che frena la Sicilia TANO GULLO "Tutto quello ch...

15/11/2005
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la Repubblica

LA RICERCA
L'esercito di analfabeti che frena la Sicilia
TANO GULLO


"Tutto quello che non so l'ho imparato a scuola": ieri era una boutade del caustico Ennio Flaiano, oggi forse una fotografia della realtà. Almeno a sentire Tullio De Mauro, docente di linguistica alla Sapienza di Roma e presidente della Fondazione Buttitta a Palermo: "Il 25 per cento degli studenti con licenza media non sa né leggere, né scrivere, né fare di conto". In un contesto sinistrato che fotografa poco meno di sei milioni di analfabeti in Italia, Catania e Palermo detengono la maglia nera. Sotto il vulcano risultano non istruiti infatti 8,4 cittadini su 100, nella Conca d'oro 7,4. Si tratta di 30 e 50 mila persone circa. Un esercito, che conferma la stretta correlazione tra analfabetismo e sottosviluppo. E a questi vanno aggiunti gli scolarizzati solo di facciata, i tagliati fuori dall'informatica. Un disastro annunciato. Lo studio "La croce del Sud: arretratezza e squilibri educativi nell'Italia di oggi" è stato elaborato da Saverio Avveduto, presidente dell'Università di Castel Sant'Angelo, sulla base dei dati Istat del censimento del 2001 (ma si può facilmente ipotizzare che da allora la situazione non è mutata).
Viene fuori un Paese a piramide dove sulla punta ci stanno circa 4 milioni di laureati, subito sotto 13 milioni di diplomati. Poi a scendere 16 milioni con la licenza media e 20 milioni che hanno frequentato solo le elementari. Tra le trenta nazioni prese in esame solo il Portogallo e il Messico sono messi peggio. A livello nazionale dietro alla Sicilia, dove gli analfabeti sono l'11,3 per cento, ci stanno solo la Basilicata (13,8 per cento), la Calabria (13,2 per cento) e il Molise (12,2 per cento). La Palermo rinascimentale ricca di iniziative culturali, quindi è solo un miraggio. Dietro alle migliaia di convegni all'anno il re è nudo. Come i catoi degradati dietro i palazzi monumentali di via Roma e di via Maqueda. Gli atenei affollati delle due più grandi città isolane solo un altro abbaglio. Studenti all'ammasso e cervelli in fuga.
Questo senso di perdita purtroppo non coinvolge solo la scuola. Un po' tutti i gangli, una volta vitali, della società sono stritolati da questa sorta di modernità incompiuta. Prendiamo il settore dell'artigianato: cosa è rimasto di quei talenti che hanno costituito l'ossatura economica e del buon gusto delle nostre città? Mastri e maestri sono spariti, inghiottiti da una economia disgregata che non è stata in grado di capitalizzare questo valore aggiunto. Prendiamo la cultura orale che, soprattutto nei paesi dell'interno ha consentito la trasmissione di saperi nei campi più svariati, dall'agricoltura alle altre attività. E la perpetuazione della memoria collettiva. Tutto azzerato. Tra qualche anno, appena scompariranno gli ultimi grandi vecchi, nessuno sarà in grado di fare un innesto particolare, intrecciare un canestro, riconoscere un oggetto dell'armamentario del passato, intarsiare un mobile. Così come si sono perse nel nulla migliaia di parole dialettali. Quanti ragazzi oggi sanno parlare la lingua dei padri? Solo la pazienza e la passione di qualche studioso eviterà il disastro della dimenticanza. C'è il poeta Nino De Vita a Cutusìo, un borgo tra Marsala e Trapani, che da venti anni recupera parole perdute e ne fa poesia. Ha già pubblicato tre volumi, l'ultimo "Nnòmura" (Nomi, edizioni Mesogea). Solo così la memoria di quelle quattro case non si perderà nel labirinto del tempo.
Oggi la scuola, come la famiglia e l'oratorio, ha perso la centralità nel processo formativo dei giovani. Non ha torto De Mauro quando fa una disamina impietosa del mondo dell'istruzione, ormai orientato a veicolare la cultura dei quiz. I ragazzini fin dalle medie sono chiamati a fare delle verifiche periodiche con il sistema delle tre risposte preordinate. Mentre per i compiti a casa devono seguire un'impostazione critica schematizzata, dove resta poco spazio per la scrittura creativa. Nasce così una nuova generazione pronta per fare subito la sua bella figura in tv al "Genius" di Mike Bongiorno e poi da adulto ai telequiz dei Pupo-Amedeus-Scotti-Bonolis di turno. E che dire dell'Università dove a Lettere è stata inserito tra le materie obbligatorie il laboratorio di scrittura, per fortificare i ragazzi che arrivano in facoltà con lacune impressionanti?
Ormai è la tv a farla da padrone. Il piccolo schermo detta neologismi, anglismi, tormentoni, che rimbombano di bocca in bocca per diventare patrimonio collettivo. In ogni ufficio o in ogni aula la mattina c'è il tam tam delle "Tatianaaaaa", "rock o lento", eccetera sentiti dai comici di "Zelig" o da Celentano. Sergio Zavoli, pioniere televisivo, si dice convinto che oggi si esce dal tunnel dell'ignoranza solo "realizzando una forte sinergia tra scuola e televisione", nel senso che la seconda oltre a informare deve comunicare, approfondire. "Informare - dice il giornalista - è far passare dei materiali, mentre comunicare e far passare dei valori". Quei valori che oggi sono indispensabile per arginare la frana culturale ed etica che mina le fondamenta del Paese e che a Palermo e in tutto il Sud si presenta ormai come una crepa minacciosa.


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