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Repubblica/Bologna: Valutazione e incentivi per integrare le due culture

la questione nodale, ma ancora sostanzialmente irrisolta, del rapporto tra le "due" culture: quella umanistica e quella scientifico-tecnologica

06/02/2008
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la Repubblica

ALBERTO DE BERNARDI*

IL DIBATTITO che si è aperto su queste colonne sul futuro dell´Ateneo bolognese è partito nel migliore dei modi perché ha messo al centro della discussione la questione nodale, ma ancora sostanzialmente irrisolta, del rapporto tra le "due" culture: quella umanistica e quella scientifico-tecnologica. La questione è nevralgica perché senza sciogliere i nodi che ostacolano le relazioni e gli scambi tra questi due universi del sapere sarà molto difficile che insieme possano concorrere ad attrezzare il nostro come tutti gli altri atenei italiani ad affrontare la sfida cruciale che ci sta di fronte: la necessità improrogabile di migliorare la qualità della ricerca e dell´offerta formativa.
C´è un piano alto della questione che riguarda la necessità di elaborare nuovi strumenti di lavoro per favorire l´integrazione di queste due forme del sapere e della conoscenza. Oggi la ricerca passa dai dipartimenti che progressivamente hanno subito un processo di specializzazione e di settorializzazione che va nella direzione opposta a quella auspicata di aumentare il tasso di interdisciplinarietà e di integrazione non solo all´interno dei due campi, ma tra questi. Bisogna dunque mettere in azione alcuni strumenti per invertire la tendenza, partendo da due punti fermi. Il primo consiste nello sfuggire al riflesso condizionato della costruzione di nuove strutture organizzative più burocratiche che funzionali, animate dal principio a metà tra il fordismo e il sovietismo, secondo il quale dall´alto devono promanare gli stimoli in questa direzione. Il secondo è la certezza che l´unica direzione credibile è favorire al massimo l´interscambio tra i ricercatori su progetti concreti. L´interdisciplinarietà non è una filosofia, né un opzione ideologica, né una missione aziendale: è un metodo che si sperimenta sul campo, per potenziarne al massimo i risultati. Per farlo l´unica formula sperimentata che funziona è quella basata sulla combinazione tra incentivi e valutazione.
Se tra i criteri attraverso i quali finanziamo le ricerche inseriamo una clausola che nella distribuzione delle risorse valorizzi l´integrazione progettuale tra le due culture, i risultati non tarderanno a venire. La miglior alternativa al dirigismo è la competizione. Vi è poi un piano di lavoro più basso che riguarda le regole di convivenza nella medesima comunità scientifica. Queste regole si imperniano su tre condizioni minime.
1) Gli scienziati umani devono accettare e fare proprio "senza se e senza ma" il principio della valutazione sia della ricerca che della didattica, abbandonando l´idea vetusta che la ricerca umanistica sia di fatto "invalutabile" secondo parametri inevitabilmente quantitativi.
2) gli scienziati sperimentali devono abbandonare la pretesa di imporre i loro modelli di valutazione e la convinzione diffusa che la condivisione del principio di valutazione debba ridursi meramente all´estensione all´area umanistica degli impact factors costruiti nell´area scientifico tecnologica. I sistemi di valutazione elaborati in campo scientifico-tecnologici non sono dogmi di fede, né possono essere utilizzati per definire a priori presunte "eccellenze", non confermate dalle pratiche reali né da altre valutazioni internazionali.
3) E´ del tutto evidente che sul versante della valutazione siamo di fronte a delle asimmetrie che richiedono una faticosa messa a punto. Siamo però avanti e gli organi centrali di ateneo devono lavorare per compire il cosiddetto "ultimo miglio". Se si vuole compiere il passo decisivo gli organi centrali devo assumere il ruolo di arbitri che favoriscono la creazione di tavoli di confronto: se invece entrano in partita, come è accaduto nell´ultima tornata di distribuzione delle risorse costruendo criteri valutazione occasionali, poco meditati, i cui intenti sono poco chiari, il risultati sono molto negativi perché disorientano il dialogo.
(*professore di storia)


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