VALERIO VARESI
«O si danno stabilità e garanzie a questa struttura o si rischia che tutto finisca quando andrò in pensione». È sconsolato il professor Stefano Pileri, uno dei più noti ematopatologi mondiali a capo dell´unità operativa di Emolinfopatologia del policlinico Sant´Orsola. La struttura di cui parla non è un reparto qualsiasi, ma una delle punte di eccellenza della sanità italiana per ricerca, diagnosi e cura dei linfomi.
Basti pensare che il 75% dei nuovi casi nel nostro Paese vengono esaminati a Bologna e l´84% proviene da altre città. Inoltre, Pileri è uno degli editori, per conto dell´Organizzazione mondiale della sanità (Oms), del Who classification of tumors hematopoietic and lymphoid tissus considerato la Bibbia mondiale per la diagnosi e cura dei linfomi e dei tumori del sangue. Malgrado queste credenziali, la sua struttura si regge in buona parte sul buon cuore e le offerte dei pazienti convogliate in due onlus create appositamente (la «Abste» e la «Spes onlus»), nonché sui contributi di «Airc», «BolognAil» e le fondazioni «Carisbo», «Del Monte» e «Seragnoli». Un po´ poco per un´unità che all´estero ci invidiano e che in altri Paesi sarebbe finanziata doverosamente. Al contrario, la pianta organica su cui può contare il professor Pileri è composta in gran parte da personale pagato con soldi privati, dalle onlus e dalle fondazioni di cui si diceva. Solo sei dipendenti sono stipendiati dal policlinico. Dodici persone su 18 possono continuare la loro attività di alto livello scientifico unicamente grazie ai contributi volontari senza nessuna garanzia per il futuro.
«Vista la precarietà, molti validissimi ricercatori da noi formati se ne sono andati all´estero o in altri centri che hanno garantito loro una stabilità nella carriera scientifica» spiega il professore. «Purtroppo si tratta di gravi perdite proprio perché, non solo li avevamo cresciuti, ma potevano dare grandi apporti alle nostre ricerche». Lo stesso Pileri è di fronte a un bivio. «Ho sessantadue anni e ancora otto di attività» dice. «Adesso non posso più aspettare: o avrò la certezza che questa Unità potrà continuare anche dopo la mia pensione avendo fondi e personale strutturato, oppure io potrei anche prendere la decisione di andarmene all´estero dove ho tante richieste e la promessa di grandi mezzi per lavorare».
Il professore vorrebbe che il lavoro di ventidue anni per realizzare uno dei centri mondiali di eccellenza in questo settore non venisse compromesso dalle burocrazie contabili. E nel caso dell´Unità del Sant´Orsola, l´eccellenza si traduce in vite salvate. Solo quindici anni fa, per certe leucemie e linfomi, la sopravvivenza non andava oltre l´anno. Ora con cure che partono dallo studio dei geni e da terapie cucite su misura per ciascun paziente, quindi molto più efficaci, ci sono garanzie di guarigione che arrivano anche al 97% dei casi. Tutto questo non esisterebbe senza gli studi dello staff del professor Pileri e degli altri centri mondiali che curano queste malattie. È del ?94 l´articolo scientifico (Real classification) che ha dato l´avvio a questa rivoluzione nella cura, oltre a essere il più consultato nella pubblicistica medica. Quell´articolo portava la firma di 18 studiosi mondiali tra cui il professor Pileri. E nell´ultimo lavoro per l´Oms, sempre Pileri, oltre che tra gli otto editori, compare anche tra i 50 che hanno coordinato e rivisto criticamente il volume. «Ci vuole un progetto che vada oltre il sottoscritto» insiste il professore. Ma nessuno s´è preso a cuore la questione. Anzi, quest´anno, nella definizione del tetto di spesa per la sua Unità, sono state addirittura inserite delle indagini di biologia molecolare in più per le quali non sono stati erogati i fondi necessari pari a 55 mila euro. Una punizione, se si pensa che le indagini diagnostiche sono cresciute del 10% e che i risparmi sui reagenti e altre attrezzature hanno fatto sì che, per certe prestazioni, l´Unità spenda solo un euro quando una ditta esterna ne vorrebbe sei. Essere bravi è spesso controproducente.
|