Repubblica/Bologna: "Così lo Stato ci umilia" L´amaro sfogo dei presidi
Governo schizofrenico. Non ci dà una lira e ci multa per la sicurezza
"Fossimo un´azienda, saremmo già falliti"
ILARIA VENTURI
«NON ci dormo alla notte, sono in condizioni che non posso più sopportare, sono preside dal ‘91 ma una situazione così pesante non l´avevo mai vissuta, non ce la faccio più, a chi lo devo dire se non al mio ministro? Chi ci ascolta?». Lo sfogo è di Delio Capozzi, dirigente alla guida delle scuole di base di Castel Maggiore e Calderara. Quando prende la parola, alla conferenza di servizio dei presidi bolognesi, forza nei toni. Ma è sincero. Tiene a precisare in conclusione: «La mia non è una reazione emotiva».
Tanto perché non la si butti sullo stress del momento, all´italiana: qui il problema è reale e non si risolve con una pacca sulla spalla, è il messaggio che parte dalla platea. Lo sfogo di Capozzi non è il solo. Passa al microfono la rabbia, la fatica, la delusione dei presidi alle prese con la mancanza di soldi per pagare i supplenti. Un acconto arriverà in aprile. Ma intanto le casse delle scuole sono vuote, i contratti con gli insegnanti, ma anche con la ditta di pulizie, vanno firmati (oppure no?), vanno garantiti i progetti didattici, la carta e i pennarelli. Quello che più pesa è il carico di responsabilità, l´esposizione a ricorsi, ingiunzioni di pagamento, proteste dei genitori, senza coperture. «Firmiamo contratti al buio», ripetono i presidi. L´ultima goccia cade quando Paolo Marcheselli chiede in prestito alle scuole i segretari per smaltire le domande di pensionamento di 629 docenti, presidi e bidelli. «Abbiamo settemila arretrati sulle spalle», annuncia il dirigente dell´ufficio scolastico provinciale. «Sarebbe la prima volta che le pensioni non vengono garantite a settembre», l´allarme. «Ho cinque assistenti amministrativi, quattro inabili, non posso mandare nessuno», risponde Maria Amigoni, preside dell´istituto comprensivo 11. Il gioco è a chi è messo peggio per fondi e personale. «Se un´azienda fosse nella condizioni delle nostre scuole sarebbe già fallita. Per pagare i supplenti ho anticipato soldi da un fondo sui progetti dell´ufficio regionale: se domani mi chiedono di restituire i soldi vado ai semafori a pulire i vetri», continua Maria Amigoni, preside di frontiera. «Il ministro non può venire a Bologna, come ha fatto all´inizio dell´anno scolastico, a dirci le cose che ha detto e per cui lo abbiamo applaudito e poi pugnalarci alle spalle». La dirigente scolastica chiude, come tutti quelli che prendono la parola, con l´invito ad alzare la voce. «E´ inutile aggiungere un piagnisteo a un altro e uscire da qui con il magone, non voglio fare proposte no global, ma è il momento di fare qualcosa».
I rappresentanti dei dirigenti consegneranno al ministro Fioroni, domani al convegno promosso, tra gli altri, dall´associazione «Bologna rifà scuola», una lettera sui problemi degli istituti. Sarà firmata dall´Associazione dei presidi (Asa. Bo) e dal Collegio. «Siamo noi quelli che abbiamo fatto la scuola, noi della scuola pubblica», è lo scatto di orgoglio di questi presidi. Armando Luisi, dirigente del secondo Circolo a San Lazzaro, è la prima volta che interviene: «Non intendo più stare zitto. Mi sento fortemente arrabbiato e umiliato per il fatto che non riesco a svolgere il mio ruolo di preside, non è possibile continuare a far funzionare la scuola ringraziando alla sera il Signore perché anche oggi è andata bene. Voglio una scuola dignitosa nella funzione pubblica e soddisfacente come servizio: di questo mi voglio preoccupare. Ma voglio essere messo nelle condizioni di poterlo fare. Invece qui si è consumata la rottura del patto sociale, lo stesso Stato si comporta in modo schizofrenico: da una parte non mi dà i soldi, dall´altra mi multa con i vigili del Fuoco sulla sicurezza. Il ministero ha le antenne per sapere cosa sta succedendo, a questo punto dobbiamo chiedere risposte certe». «La situazione finanziaria è grottesca», denuncia Lamberto Montanari, preside voce dell´Anp di Bologna. «Quando i colleghi dicono che non possono più vivere tutti i giorni con questo peso sulle spalle hanno ragione. Così non si va avanti».