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Repubblica/Bologna: Come uscire dalla crisi di risorse dell´ateneo

DOPO la provocatoria dichiarazione "se non introduciamo misure strutturali portiamo i libri in tribunale" del Rettore dell´Università di Bologna Pier Ugo Calzolari, si è scatenata un sequela di dichiarazioni

03/04/2007
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la Repubblica

DOPO la provocatoria dichiarazione "se non introduciamo misure strutturali portiamo i libri in tribunale" del Rettore dell´Università di Bologna Pier Ugo Calzolari, si è scatenata un sequela di dichiarazioni di ulteriore accentuazione o di pompieristica minimizzazione. Sull´allarme lanciato sono arrivate altre prese di posizione da parte delle autorità di altre istituzioni. L´assessore regionale alla Formazione, Università e Lavoro Paola Mancini, è intervenuta per correggere il tiro, affermando che non esiste il rischio di fallimento e che è necessario, invece, risanare i conti attraverso "scelte di bilancio coraggiose". Come dire non si tratta di una crisi strutturale: basta razionalizzare i costi. Differenziarsi o contrapporsi se la causa è strutturale o di gestione del bilancio, non aiuta il confronto su come uscire vincenti dalla crisi attuale.
Il rettore Calzolari ha ragione quando individua che la limitazione delle entrate e le difficoltà di reggere i programmi di spesa, non è un fattore congiunturale e che anche se si fanno quadrare meglio i conti con coraggio, si sopravvive ma non si compete. Ho l´impressione che messe così le cose sia difficile trovare quella sintonia di analisi e quella convergenza sulle proposte, che da subito Università, Regione e Comuni dovrebbero unitariamente mettere in campo dopo le misure finanziarie del governo. Il problema vero e grave da cui partire senza tanti distinguo, è che nella nostra regione come a livello nazionale il sistema universitario non è messo in condizione di produrre eccellenza e di essere competitivo rispetto agli altri paesi dell´Unione Europea. Di qui l´interrogativo: come si fa a tentare di elevare la qualità di ricerca e didattica dell´Ateneo di Bologna?
La risposta non va trovata a livello locale e non puo essere ridotta a questione solo di bilancio. Bisogna partire da problema vero ponendosi un ulteriore interrogativo: quale contributo sta dando l´Italia alla realizzazione della "Agenda di Lisbona" decisa dai governi della UE?
L´impegno del governo nazionale finora è stato davvero minimo. I paesi avevano approvato una strategia comune per rendere l´Europa un continente altamente qualificato nella ricerca e sviluppo, ma l´impegno italiano è mancato su tutti gli indicatori concordati. Nel 2007 risultiamo essere il paese che insieme a Portogallo e Malta ha fatto meno progressi, perché abbiamo creato meno formazione giovanile e investito meno in ricerca. Dai dati sul 2005 si rileva che il nostro paese continua ad essere il fanalino di coda in relazione al numero dei ricercatori. E´ evidente che quando non si investe in ricerca e formazione lo sviluppo non attira investimenti e non crea un dinamismo occupazionale. E´ altrettanto chiaro che questo disimpegno del governo dagli accordi di Lisbona comporta il non si riconoscimento della centralità dell´università e il non finanziamento delle sue strategie per ritornare a competere a livello nazionale ed internazionale. La politica dei tagli ai programmi di rafforzamento della ricerca e di qualificazione della didattica, arriva quando l´Università di Bologna sta cercando di costruire la propria autonomia e di assumersi la piena responsabilità di gestione delle risorse all´interno di un sistema strettamente connesso con le imprese e gli enti locali. La questione non è solo i circa 50 milioni di euro di finanziamento in meno. E´ l´attacco alla sua autonomia istituzionale e alla sua piena responsabilità di gestione. Qui sta tutta la crisi del sistema universitario italiano.
Anche in un contesto così poco favorevole, però, non bisogna disarmare. Su come uscire dalla crisi strutturale le vie possibili sono tre. La prima è di governance e l´economista Zamagni propone di trasformare l´Università da struttura statale ad impresa civile. Forse altre forme sono possibili, come il sistema duale (manageriale e accademico). La seconda via è quella delle risorse umane e il semiologo Eco propone di mandare i docenti in pensione a 65 anni e di allargare la categoria degli Emeriti. Si può essere meno radicali e forse prevedere dopo il pensionamento forme di docenza a contratto. La terza è quella delle entrate finanziarie e l´aumento delle tasse agli studenti richiede di procedere con attenzione, allargando la borsa di studio ai bisognosi e meritevoli e forse prevedendo anche forme di contribuzione differita a dopo la laurea. E´ chiaro che queste misure strutturali oggi possono trovare una possibilità di ascolto nei lavori del Senato che prossimamente sarà chiamato a discutere della riforma dell´università. A questo fine diventa decisiva l´intesa dell´Università di Bologna con il Comune e la Regione, perché solo con una riforma di sistema si puo riprendere con passo veloce la strada della competitività europea indicata dall´accordo di Lisbona.
GIOVANNI DE PLATO


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