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Repubblica/Bologna: Basta con Moccia, torniamo a Dante

Parla il professor Faeti, pedagogista e studioso

10/07/2007
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la Repubblica

L´intervista

"L´educazione non deve assecondare il sentire degli studenti: questa è un´idea fasulla di spontaneità"

ELEONORA CAPELLI

«E´ un sintomo: bisogna ripristinare la severità degli studi dal basso all´alto della scuola». Pronunciate da un professore di «Grammatica della fantasia» come Antonio Faeti, giunto alla vigilia del quarantanovesimo anno di insegnamento, figura di riferimento della pedagogia bolognese, queste parole hanno il suono della condanna senza appello.
Professor Faeti, di fronte ai dati sull´alto numero degli alunni delle superiori bocciati o promossi con il debito formativo, lei pensa che ci sia un´emergenza formazione?
«Questo disastro era inevitabile, bisogna cambiare subito perché la catastrofe è imminente. Lasciate perdere Federico Moccia, leggete Dante. La scuola non è coltivare la spontaneità, ma prendersi la responsabilità della formazione».
Le responsabilità vanno cercate nella scuola o nei ragazzi e nelle loro famiglie?
«Una cosa per me, che in questo momento insegno all´Accademia di Belle Arti e ho molto rispetto per la specificità del mestiere di maestri e professori, è comunque chiara. Si è persa la consapevolezza che l´educazione non è un fatto spontaneo. Avviene nella fatica di dare dei modelli, operare degli interventi e prendere posizione. C´è invece oggi un tentativo generale di assecondare il «sentire» degli studenti, cosa che a me non interessa minimamente. Questa è una idea fasulla di spontaneità, si tratta in realtà di lassismo, di incapacità di progettare».
Cosa si è perso?
«Il senso della «Bildung», la formazione nel senso più completo di crescita. I modelli che oggi vengono proposti sono di pochissima forza etica e non portano allo studio. Lo studio è molto lontano da Federico Moccia e dai suoi lucchetti, è una pratica severissima».
Mancano i buoni maestri?
«E´ sempre più raro sentire la voce di chi vuole formare, che assume degli obiettivi e li porta avanti. Tutte le volte che lambisco il mondo delle scuole, sollecitato da una platea di insegnanti, non so mai da dove devo partire per argomentare le mie tesi. C´è un vuoto di fronte a me che mi spaventa. Del resto io non mi fido di chi per insegnare non ha passato un concorso, la mia vita è stata tutta un concorso pubblico».
Bisogna intervenire anche sui contenuti che vengono proposti?
«Nel mio settore, quello della letteratura, andiamo malissimo. Per gente che legge così poco e così pochi libri importanti, non c´è speranza. Tutto quello che viene dato «in pasto» ai ragazzi è così basso e così triviale che il riverbero nella scuola è inevitabile. Questo mi fa soffrire moltissimo».
Cosa la fa soffrire, come «lettore ostinato» e pedagogista?
«E´ emblematico il modo delittuoso in cui viene trattato Dante. Il fatto che io, a 4 anni, dovessi rispondere a delle domande di mio padre sulle cantiche, mentre oggi non si può proporre la Commedia neanche come argomento dell´esame di maturità. Sembra una qualità persa e inattingibile. Ho nostalgia della mia professoressa Liana Martini che, di fronte al girone degli ignavi, interrogava un mio compagno dicendogli: "se lei non sa in che girone si trova questa terzina, rischia di andare a finire proprio in quella zona dell´inferno"».
Non c´è nessun rimedio?
«Sì, bisogna andare a leggere, subito, i grandi classici. Bisogna capire che la creatività è prima di tutto fatica, che nella pedagogia non ci sono diritti, ma solo doveri. Io ho le prove che a scuola si possono fare cose straordinarie. Il contrario, è uno spreco».


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