Repubblica/Bari: La questione morale non è una targa
Nicola Colaianni
O si abbassa la qualità per la massa - disse qualche anno fa il ministro Berlinguer - o si abbassa la massa (escludendo studenti) per la qualità. La sua riforma universitaria imboccò la prima strada. Ma s´è rivelata un insuccesso. Tre più due uguale zero, s´è ironizzato sulla laurea breve. Gli studenti fuoricorso non diminuiscono. Le imprese continuano a non investire nella ricerca. L´autonomia s´è trasformata in una difesa dei privilegi della casta. Che, saltati i criteri di merito, si riproduce - com´è stato scritto in un recente libro, L´università di fronte al cambiamento - attraverso un´»economia politica della cattedra», fondata su nepotismo, familismo e asservimento della forza-lavoro. Fenomeni, questi, registratisi ad ogni latitudine accademica. Ancorché, in effetti, la bulimia di alcuni «baroni» locali abbia fatto raggiungere all´università di Bari punte apicali. A fronte di questa situazione critica può sembrare un diversivo la consultazione in atto a Bari sul se cambiare denominazione in: università del Levante Aldo Moro. Dum Romae consulitur…, si potrebbe ironizzare. Ma la linea di fondo della proposta è seria. Si tratta di rendere visibile la volontà di rompere con il recente passato.
E così di riannodarsi, come ha scritto il rettore Corrado Petrocelli, al patrimonio prezioso della tradizione del nostro Ateneo. Della tradizione «lunga», si potrebbe chiosare, e non di quella «corta» che lo ha fatto finire sui giornali e nelle stanze della procura della Repubblica. Un´iniziativa di buona volontà, quindi. Se anche, nel merito, efficace e ben gestita è discutibile. Vediamo.
Il punto di maggior criticità riguarda la scomparsa di Bari a favore di Levante. L´Università si omologherebbe alla Fiera. La sostituzione della città con un´area più vasta è stata perseguita da varie università: Cosenza (Calabria), Campobasso (Molise), Como (Insubria), recentemente Lecce (Salento). Come si vede, si tratta di università di istituzione relativamente recente e ubicate in non grandi centri, che dal riferimento ad un´area vasta ritengono di trarre un´immagine meno provinciale.
Non è il caso dell´Università di Bari, che anche per fondazione è la seconda del Mezzogiorno. E che dal riferimento al Levante ha tutto da perdere in termini di rapporti, meritoriamente realizzati, con le università dell´occidente europeo. Se poi si vogliono evitare facili sarcasmi, è opportuno considerare che in tal modo, se si evita quello di «università dei Bari», si autorizza addirittura quello di «università levantina».
Grave si fa il discorso con riferimento ad Aldo Moro. Qui è evidente il proposito di agganciare il futuro dell´istituzione ad un sicuro referente ideale. Tuttavia, il nome delle università, in Italia e all´estero, è legato di regola al territorio in cui sorgono. La personalizzazione è guardata ovunque con diffidenza. E, nelle poche eccezioni, la si attua in riferimento a personalità di statura esclusivamente scientifica – come, per dire, Amedeo Avogadro, cui è stata intitolata l´università di Alessandria. Mentre la statura di Moro è prevalentemente politica.
Che fare, allora? Aver messo ai voti un´icona della politica alta della nostra democrazia non s´è rivelato saggio. Ma neppure saggio sarebbe ora votare senza tener conto del contesto formatosi attorno alla proposta. Che nell´opinione pubblica è stata associata alla volontà di riscatto della nostra università. Tornare ora indietro, per le plausibili ragioni di merito che si sono evidenziate, verrebbe interpretato, sia pure a torto, come una resa alla prepotenza di chi negli ultimi tempi ne ha sporcato l´immagine. Al di là dell´opinione accademica è ormai l´opinione pubblica che si fa garante dell´operazione di pulizia simboleggiata dal cambio di denominazione. E che controllerà se davvero seguiranno i fatti. Se, per esempio, si irrogano le doverose sanzioni ai dipendenti condannati per la divulgazione dei test di ammissione a scienze della formazione.
Se si stanno attivando rapide inchieste sui fatti emersi dalle recenti intercettazioni giudiziarie. Se il codice etico comincia a funzionare o va ad affastellare i tanti regolamenti, che neanche si sa che esistono. Se sì, sarà gratificante constatare che nomina sunt consequentia rerum. Altrimenti, si constaterà con raccapriccio che il nome impegnativo di Moro è stato posto a copertura di un´operazione gattopardesca.