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Repubblica/Bari: I test truccati e il risveglio dell'etica

A ogni livello il rispetto delle norme deontologiche dimostra un carattere di assoluta necessità per assicurare la tutela dei valori della giustizia Il giornalista e filosofo Armando Massarenti, ospite oggi dei Dialoghi di Trani, riflette sugli effetti culturali dello scandalo barese di Medicina

21/09/2007
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la Repubblica

LE IDEE
L´etica perduta fra i banchi dell´Università
ARMANDO MASSARENTI
CERCARE di rispondere in un´ora alla domanda su «Che cos´è l´etica», come mi è stato chiesto dagli organizzatori dei "Dialoghi di Trani" che oggi mi hanno concesso l´onore di aprire i lavori, può sembrare un´impresa impossibile. E lo è davvero, se si ha l´assurda pretesa anche solo di sfiorare, sia pure di volata, l´intera gamma di implicazioni che la riflessione morale ha avuto nel corso di millenni di storia del pensiero umano, con tutti i suoi conflitti e le sue tensioni interne.
Suggerirò però un metodo piuttosto efficace per capire che cos´è l´etica in maniera veloce e a colpo sicuro. Chiediamoci perché di fronte a certi comportamenti reagiamo in un certo modo, ad esempio biasimando coloro che ne sono responsabili. Per stare all´attualità del nostro Paese, di fronte allo scandalo dei test truccati per l´accesso alla facoltà di medicina che ha coinvolto l´ateneo di Bari, quale può essere la reazione più immediata? Immagino che nella maggior parte dei casi, non si potrà non percepire, prima ancora di rifletterci su, il carattere appunto "scandaloso" dell´episodio. Suggerisco che è proprio da questa prima reazione che traiamo l´insegnamento più prezioso per capire che cos´è l´etica. Perché in essa vi è qualcosa di fortemente intuitivo, che si lega saldamente alla nostra natura di esseri umani. Siamo animali morali, e lo percepiamo in maniera assai chiara quando ci troviamo in una situazione difficilmente equivocabile da un punto di vista etico.
Se un test è concepito per garantire l´ingresso ai meritevoli, non ci vuole una laurea in filosofia morale per capire che, se è truccato, o se girano delle tangenti, a superarlo non saranno certo coloro che lo meritano. Dunque si commetterà una evidente ingiustizia, e il nostro giudizio su di essa sarà immediato.
Se poi cominciamo a rifletterci un po´ su, noteremmo che si tratta di una "doppia" ingiustizia. Infatti, se i test non esistessero, i non meritevoli entrerebbero lo stesso all´università, ma almeno ciò non andrebbe a scapito dei meritevoli. L´introduzione del numero chiuso, in una istituzione corrotta, si trasforma in una regola assai perversa. Era stata pensata per promuovere l´equità, o il merito (e le due cose dovrebbero andare insieme), ma in realtà produce un effetto diametralmente opposto. Con ciò non voglio sostenere che non bisogna introdurre il numero chiuso nelle università. Non è importante per me qui prendere posizione su questo o su qualunque altro caso. Farò solo osservare che, quando da un giudizio intuitivo del tipo «è uno scandalo» passiamo a una riflessione più ampia – come «è giusto introdurre questa o quest´altra regola, questa o quest´altra istituzione, o punizione o premio, ecc. ecc.» - stiamo ancora parlando di etica, ma a un livello completamente diverso.
Un livello che implica già una certa professionalizzazione del discorso morale che ci indurrà a discutere di norme deontologiche legate a singole professioni (ai medici, in questo caso) o categorie (gli insegnati, gli studenti), magari spingendoci a elaborare eccezioni a certe regole talvolta del tutto giustificate. Questo livello, a mio parere deve essere assai rispettoso del primo, ma a volte può anche correggerne certe ingenuità o fallacie.
La mia proposta è provare a definire l´etica a questi due livelli. Il primo ci dice qualcosa di profondo sulla nostra natura: siamo animali istintivamente morali. È un risultato che sta emergendo con chiarezza da studi sull´etica come quelli del grande biologo cognitivo di Harvard, Marc Hauser. Se andate su Google e scrivete «moral sense» vi uscirà, in cima alla lista, il sito con il suo «moral sense test». Contiene un serie di dilemmi morali ai quali si è invitati a rispondere istintivamente e, in una fase successiva, a rendere conto delle ragioni delle proprie scelte.
Supponiamo di essere di fronte a uno scambio ferroviario. Sta arrivando un treno che, se procederà sul suo cammino, inevitabilmente investirà e ucciderà cinque persone. Noi siamo davanti a una leva. Azionandola il treno devierà su un binario dove ucciderà una persona. Che cosa facciamo? Azioniamo o no la leva? Quando Hauser mi ha illustrato questo, peraltro ben noto, dilemma, sua figlia di 4 anni era a tavola con noi. Ascoltava con grande attenzione e, finita l´esposizione, in un battibaleno, forniva la risposta: «Aziono la leva».
Fin da quando siamo degli infanti è attivo nel nostro cervello qualcosa che potremmo chiamare «competenza morale». Fin da allora siamo bravissimi a dare risposte immediate e sicure. Ma come ci mostrano gli esperimenti di Hauser non siamo altrettanto bravi a fornire le ragioni di tali risposte. Quando, nel suo test morale, si chiede alle persone perché hanno dato una certa risposta, nella maggior parte dei casi non sanno cosa dire. L´etica, per me è, e deve essere, anche questo: il tentativo pubblico di fornire quelle ragioni che il nostro istinto non riesce a catturare.


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