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Repubblica-BAri-Hack contro la riforma Moratti "Così distruggono la ricerca"

LA POLEMICA Il grido d'allarme della scienziata ieri mattina al Politecnico Hack contro la riforma Moratti "Così distruggono la ricerca" Il ruolo centrale che occupa l...

06/04/2004
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la Repubblica

LA POLEMICA
Il grido d'allarme della scienziata ieri mattina al Politecnico
Hack contro la riforma Moratti "Così distruggono la ricerca"
Il ruolo centrale che occupa lo studio nel processo di sviluppo del sapere
La denuncia "Adesso il rischio è quello di avere soltanto lavoratori co.co.co"
MICAELA ABBINANTE


Per la scienza e la ricerca ha vissuto, lavorato, scritto e vinto premi. E per la scienza e la ricerca ieri più che mai, dai microfoni di un'aula del Politecnico di Bari, è tornata a lottare: Margherita Hack, l'astronoma per eccellenza, non ama i mezzi termini: "Con la riforma della Moratti scompare il ruolo dei ricercatori e il rischio è quello di avere solo co.co.co". Ieri, a margine della cerimonia di premiazione della terza edizione di "Scrivere la scienza" (il concorso organizzato dal Premio Crinzane Cavour con il patrocinio della Regione Puglia e d'intesa con La Stampa-Tuttoscienze e Teconologia e la Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia) che l'ha vista grande protagonista, Margherita Hack ha ribadito il ruolo, centrale, che occupa la ricerca nel processo di sviluppo del sapere e ha criticato quando prevede di disegno di legge firmato dall'attuale Ministro dell'Istruzione Letizia Moratti. Colpevole, a detta dell'astronoma, di determinare la scomparsa del ricercatore e di introdurre anche nel mondo accademico della ricerca la tipologia dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa che renderebbero precario il lavoro di quanti studiano per mestiere e passione. La studiosa, premiata come migliore comunicatore scientifico, ha poi ricordato quanto l'intera umanità deve ai progressi della scienza e quanto a questo proposito sia indispensabile che la scienza venga non solo insegnata, ma anche studiata nelle aule dell'Università più che altrove, dagli appassionati di ricerca. Gli stessi che per difendere il proprio diritto al lavoro-studio sono sul piede di guerra da mesi e che in questi giorni di dibattito non possono che essere soddisfatti dall'appoggio dichiarato da studiosi del calibro della Hack. "In Italia i ricercatori sono 21 mila, la didattica grava per il 40 per cento sui dottorandi - ricorda Domenico Viola, rappresentante barese dei dottorandi - non possiamo permettere che il nostro ruolo vada ad esaurimento". Per questo i precari dell'Università hanno chiesto e ottenuto un tavolo di trattative attraverso il quale, continua Viola, "vogliamo far valere i nostri diritti, concordando con il Ministro il contenuto della riforma". E il riferimento è soprattutto a quella parte del disegno di legge che prevede l'introduzione dei co.co.co: "Siamo pronti a valutare ipotesi di revisione - precisa Viola - ma dopo i tre anni di dottorato e i quattro di contratto ci deve essere un concorso che permetta di entrare definitivamente nel mondo accademico e le condizioni economiche dei ricercatori devono essere migliorate". Pena la perdita di fiducia dei neolaureati o, peggio ancora, la fuga di cervelli.
"La precarietà è la risposta peggiore che potevano dare alle domande dell'Università - dice Chiara Dell'Acqua, dottoranda alla facoltà di Lettere e Filosofia di Bari - mi sento demotivata e declassata. Per essere valorizzati, l'unica possibilità che rimane è il trasferimento fuori dall'Italia". E' dello stesso parere anche Francesca Sivo, anche lei dottoranda di Lettere e Filosofia, che parla "di perdita totale di gratificazione", ribadisce "la necessità di ottenere dei riconoscimenti" e ricorda come sia difficile portare avanti progetto di ricerca con finanziamenti sempre più bassi. "Se all'Università non verranno garantiti fondi maggiori - continua Sivo - si determinerà una preoccupante tendenza all'allontanamento di quanti invece potrebbero dare alla ricerca italiana importanti risultati oltre che prestigio". Privare l'Università della ricerca significa anche, nelle parole del rappresentante Smur-Cgil Giuseppe Murè, "togliere qualcosa a tutti, perché la ricerca e la scienza appartengono al patrimonio comune anche quando i benefici si avvertono dopo anni e anche quando i tornaconti economici non sono immediati".


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