Repubblica-Bari-A scuola che ci vado a fare? Meglio il banco del pesce
"Non posso certo fare denunce, altrimenti salta la domanda per la regolarizzazione" "Con i ragazzi della mia età mi trovo male. Perché non capiscono certe cose" DAVIDE CARLUCCI la scuola, ...
"Non posso certo fare denunce, altrimenti salta la domanda per la regolarizzazione"
"Con i ragazzi della mia età mi trovo male. Perché non capiscono certe cose"
DAVIDE CARLUCCI
la scuola, per lui, è un fastidio enorme: porta via tempo e denaro, è antieconomica. Ma è obbligato ad andarci. "Non sempre, però: quando posso faccio festa. Ho cose più importanti da fare. Queste, per me, sono fesserie. Con i ragazzi della mia età che non lavorano mi trovo male. Perché non capiscono certe cose". Tredici anni, terza media, giubbotto blu e sciarpa, Maurizio parla come un uomo. Ma il suo datore di lavoro è lo zio, che vende il pesce a Bari vecchia. La paga è di quindici euro alla settimana, il lavoro inizia nel pomeriggio, dopo pranzo, quando dovrebbe iniziare a fare i compiti. Ma sa che quella è tutta una messinscena che presto finirà: quel che conta è entrare al più presto nel mondo del lavoro, accorciare i tempi, diventare subito adulti.
Questo è neorealismo classico, il vecchio dello sfruttamento minorile nel Sud che stenta a morire: non è come negli anni Cinquanta, come ai tempi di Sciuscià, ma nelle periferie, interne o esterne alla città, sacche di sfruttamento minorile resistono ancora. Garzoni di macelleria che prima di andare a scuola, al mattino, devono aiutare a sistemare i quarti di bue in frigo e la sera, quando il negozio è chiuso, pulire le interiora. Ragazzi di bottega che la mattina prendono il bus da Enziteto, San Paolo, Santo Spirito per lavorare come commessi nei negozi del centro di Bari. Da Enziteto o Catino, spiega Rosa Matera, dell'associazione Europa, spesso fanno la spola verso i laboratori artigianali di Bitonto.
Oppure, vengono dalla provincia per lavorare ai magazzini ortofrutticoli di Bari. Pietro arriva da Acquaviva, adesso ha vent'anni ma ha iniziato a lavorare che ne aveva sette. E siccome da allora il padre lo ha sempre costretto a levatacce notturne per caricare il camion, è cresciuto storto, gobbo, con gli occhi cisposi e la sfasatura di chi ha il ritmo veglia-sonno ormai stravolto. Ha grossi problemi di relazioni umane, di lui si sono occupati per anni i servizi sociali del Comune.
Poi c'è il nuovo che avanza: le ragazze immigrate come Lourdes, che lavora in un bar del centro murattiano di Bari aperto da meno di un anno. "Mi pagano trecento euro al mese. Lavoro quattro giorni alla settimana dalle undici del mattino fino alle 17. Venerdì, sabato e domenica sera, invece, inizio alle 19 e finisco non si sa quando, di notte, quando non ci sono più clienti". Tutto in nero, ovviamente. "Loro con me sono gentili, per carità. Ma alla fine della giornata sono distrutta, sfinita. Tempo per coltivare le relazioni umane non ne ho. Questo lavoro lo lascerò, ho già trovato qualcosa di meglio. Mi pagheranno a ora. Non so quanto, stiamo ancora contrattando".
Alì, algerino, 32 anni, in Italia dal '99, lavora come meccanico artigianale a Terlizzi. Monta le serre per i vivai. "La mia paga è di trentadue euro al giorno, il mio contratto di lavoro prevede uno stipendio prevede uno stipendio mensile di 924 euro al mese. Ma il nostro datore di lavoro ci paga solo il corrispettivo di due settimane al mese, il resto se lo prende lui. Ho provato a chiedergli spiegazioni. Le risposte sono evasive: sai com'è, sto lavorando con fornitori che non possono pagare, so che è un problema per voi, ma dovete capirmi". Alì ai sindacati non si è rivolto, denunce non ne ha fatte. Solo i militanti del circolo di Rifondazione del paese, che organizza corsi di lingua per immigrati, hanno raccolto il suo sfogo. "Non posso certo fare denunce, altrimenti, salta la domanda per la regolarizzazione, il mio datore di lavoro non firma la domanda da me presentata alla Prefettura di Bari". Santina Mastropasqua, direttrice della Caritas di Terlizzi, conferma che è lo sfruttamento degli extracomunitari la nuova piaga, più che il lavoro minorile, nel paese dei fiori.