Nuova Sardegna-Ma l'obbligo formativo non era un'eccezione?
La scuola, le imprese, le ricadute sull'occupazione Ma l'obbligo formativo non era un'eccezione? DOVE VA questa formazione in Sardegna? In piazza, a rivendicare le risorse per la gest...
La scuola, le imprese, le ricadute sull'occupazione
Ma l'obbligo formativo non era un'eccezione?
DOVE VA questa formazione in Sardegna? In piazza, a rivendicare le risorse per la gestione dell'obbligo formativo, potrebbe essere la risposta. Ma questa non sarebbe che una battuta, per andare oltre la quale faccio una premessa cui seguono due brevi considerazioni.
La premessa. Nell'ottica della riforma a suo tempo ideata dal ministro Berlinguer - assai discussa e controversa e assai poco attuata, mancandone il tempo e forse anche l'univoca determinazione - l'obbligo formativo avrebbe dovuto costituire lo strumento "eccezionale" attraverso il quale rimotivare, grazie a percorsi meno rigidi e più flessibili, i ragazzi in serie difficoltà nell'intraprendere o nel proseguire i corsi di istruzione superiore, per poi reinseririli negli istituti a questa preposti; una via, dunque eccezionale e propedeutica, attraverso la quale suscitare nuovi stimoli, nuove curiosità, maggiore disponibilità ad apprendere, nuova maggiore stima di se, forte dei quali il giovane avrebbe potuto riprendere gli studi fino al diploma (da considerarsi oggi il livello di istruzione minimo) o della laurea.
Nell'ottica della riforma Moratti - assai meno discussa, e volta senza tentennamenti allo smantellamento dell'istruzione pubblica, pezzo per pezzo, dalla scuola elementare all'università - l'obbligo formativo (pardon, il "diritto-dovere della formazione" come dice il ministro) non costituisce affatto lo strumento eccezionale per casi eccezionali all'interno di un sistema di istruzione/formazione unitario e fortemente integrato, bensì "la" formazione da offrire ai givani meno dotati o, più semplicemente, meno fortunati. In sostanza, il ripristino dell'avviamento professionale di triste memoria e un balzo all'indietro di quarant'anni nel senso delle due vie. È vero, dall'obbligo formativo, concluso il corso, si può rientrare, previo esame, negli istituti di istruzione superiore. Qual è la percentuale dei rientri? La memoria di singoli casi è di per sé significativa.
Ora le considerazioni, brevi. La prima riguarda il sistema regonale proposto alla gestione della formazione, che conosco e presumo di conoscere operandovi da un quarto di secolo. È ragionevole sostenere che la dimensione quantitativa assunta in Sardegna dall'obbligo formativo, (circa diecimila allievi tra i primi e i secondi anni) sia fisiologica e non patologica? Quanti allievi, concluso il corso, riprendono gli studi? Quanti non riprendono gli studi e trovano lavoro, a sedici-diciotto anni, in una regione in cui si registra un tasso di disoccupazione del 18 per cento, più che doppio rispetto alla media nazionale, e se pure il tasso di disoccupazione non fosse quello e la probabilità di trovar lavoro fosse maggiore, che prospettiva avrebbe il futuro - prospettiva intendo, non solo di lavoro ma più in generale di vita, di interessi, di curiosità e di cultura - quel giovane il cui livello di istruzione/formazione risulti così mortificato.
Sul piano delle valutazioni di merito, da cui è bene non prescindere a tutela dei soggetti gestori più onesti e più "professionali", è da tenere presente che il regime di accesa concorrenza ai fini della assegnazione delle risorse e il venir meno delle garanzie date un tempo dai piani annuali della Formazione Professionale, unitamente all'allentarsi dei controlli ridotti a mere rilevazioni burocratiche-logistiche, hanno indotto alcuni Enti di formazione dal profilo debole e dalla gracile storia a perseguire schemi comportamentali costituenti la parodia della gestione aziendale, in taluni casi - su cui speriamo si appuntino l'attenzione e gli opportuni interventi da parte degli organismi regionali di controllo - queste tendenza vanno traducendosi in vero e proprio regime oppressivo quando non addirittura tirannico a danno dei lavoratori, poco o nulla utilizzati (così da far posto al nipote, al cugino, al cognato, all'amico o al figlio dell'amico, secondo una tendenza divenuta ormai di moda nel settore della formazione in Sardegna".
Ciò dovrebbe rilevare, ritengo, in sede di rivisitazione degli ccreditamente. Come si concilia il finanziamento pubblico per la formazione di risorse professionali e umane quando si dimostra l'incapacità di gestire al meglio le proprie risorse?
Una seconda considerazione riguarda la formazione nel suo imprescindibile rapporto con i processi di sviluppo dell'economia e della società. Il superamento dell'attuale situazione di crisi, la ripresa dello sviluppo economico e in definitiva la crescita della società sarda hanno certamente bisogno di più istruzione e di più formazione.
Di istruzione e formazione "forti" e fortemente integrate, incentrate in poli di eccellenza (a favore dei quali andrebbero finalizzate le risorse residue del Por) destinati a trasmettere ai giovani e ai non giovani, agli occupati e ai disoccupati, competenze "competitive", nuove conoscenze e rinnovati saperi antichi, e capaci magari di esportare formazione, conoscenze e tecniche proprie di quelle attività e di quei settori in cui da anni facciamo bene (in qualcosa siamo pure bravi).
Formazione continua, formazione superiore, formazione al servizio delle intraprese più serie, formazione in reti di cooperazione operanti in ambito europeo e mediterraneo, questo mi parrebbe meglio corrispondere alle attese della società sarda, nonché alle migliori attitudin dello stesso sistema lavorativo regionale.
Paolo Zedda dipartimento scuola direzione regionale Ds