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Messaggero/Umbria: La protesta degi Atenei

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23/07/2010
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Il Messaggero

di VANNA UGOLINI
E i ricercatori aggiungono: «Valutateci, non abbiamo paura. Siamo i primi a chiedere che prevalgano i criteri della meritocrazia. Non vogliamo diventare professori universitari ”ope legis”». Il problema è, secondo i ricercatori (presenti alla conferenza stampa Enza Caruso, Fausto Proietti, Andrea Capotosti, Federico Alimenti e altri) che i criteri di valutazione «devono essere chiari e costanti. Invece noi non sappiamo secondo quali criteri siamo giudicati e ogni anno questi cambiamo, quindi non siamo neanche in grado di fare un percorso di miglioramento». E’ vero che l’università italiana non è perfetta e che molti sono i problemi che bloccano i talenti italiani, tanti dei quali costretti ad andare fuori per avere spazio. Questi problemi si chiamano raccomandazioni, baronie, nepotismo, poca chiarezza nei meccanismi della carriera. Ma secondo i ricercatori «con questa legge la cura è peggio della malattia e penalizza soprattutto i giovani». Fra l’altro, «con il blocco degli incrementi contributivi, a perdere di più saranno i neo-assunti che mai riusciranno ad arrivare allo stipendio dei loro pari-grado di oggi». Chi viene assunto oggi all’università guadagna sui 1200 euro al mese e, come percorso di ricercatore, alla fine della carriera, dopo 28 anni, può aspirare a guadagnarne 2500, spiegano i ricercatori.
Per questo anche i ricercatori dell’università di Perugia hanno proclamato lo stato di agitazione. E, considerato che il 40 per cento della didattica è svolta, su base volontaria, da loro, nel caso decidano di non svolgerla più si può immaginare quanti corsi rischiano di saltare.
Rettore e ricercatori sono unanimi nel puntare il dito contro la Riforma anche per quanto riguarda «la mancanza di un progetto globale di sviluppo degli atenei, che sta determinando lo smantellamento dell’università pubblica e la drastica contrazione dei finanziamenti statali agli atenei, che annulla ogni credibile possibilità di rilancio dell’università pubblica e che penalizza fortemente il diritto allo studio». Insomma, della riforma Gelmini ricercatori e professori salvano ben poco e promettono un autunno caldo anche «pianificando azioni di coinvolgimento della cittadinanza e delle istituzioni locali con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle eccellenze dell’università di Perugia che rischiano di andare perse».
Cosa succederà all’università e, in particolare, agli studenti che sono poi, i più penalizzati da un calo di qualità dei corsi e dalla prospettiva di avere esami bel caos? Il magnifico rettore non riesce ad immaginarlo: «Non lo sappiamo - ammette - viviamo giorno per giorno. Non sappiamo nemmeno di quanto sarà il fondo per il finanziamento ordinario 2009/2010. E questo nonostante, secondo l’indagine del Censis, siamo la terza università italiana, abbiamo un bilancio in pareggio e non abbiamo contratto mutui con le banche». Per questo si profila la possibilità che a Perugia, a settembre, si tenga un convegno nazionale proprio sui problemi che l’università dovrà affrontare con la nuova riforma. «Fra l’altro - spiegano i ricercatori - noi non abbiamo fatto altro che rispettare le leggi. Ci è stato chiesto di fare il modulo tre più due e ci siamo adeguati, di avere una maggiore territorializzazione e siamo andati in questa direzione. Non sono state certe scelte che abbiamo preso in autonomia. Comunque il nostro obiettivo di fondo è difendere la ricerca». Una battaglia che si profila lunga.
E un’altra battaglia si è aperta ieri all’università per Stranieri e riguarda i Collaboratori esterni linguistici, una figura prevista dall’ordinamento. Si tratta di professionisti che coprono un’ampia parte dei corsi per stranieri, una trentina assunti a tempo indeterminato e una sessantina, invece, con contratti a termine. Ieri, durante un’assemblea sindacale, (sono rappresentati dalla Cgil e dalla Cisal) hanno confermato lo stato di agitazione e dato mandato alle organizzazioni sindacali per l’avvio delle trattive. Le loro richieste non sono di rivendicazioni economiche ma riguardano l’organizzazione del lavoro, il tipo di mansioni da svolgere nell’ambito del monte ore, la gestione delle ferie. «Fino ad ora - sostengono - non si è riusciti ad avere alcuna certezza sull’organizzazione e la qualità del nostro lavoro».


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