Mess.Veneto-Serviva il più vasto consenso per la riforma della scuola
SABATO, 10 APRILE 2004 Pagina 14 - Pordenone Serviva il più vasto consenso per la riforma della scuola Molti sono i fatti e gli eventi che ricorderemo del governo Berlusconi. B...
SABATO, 10 APRILE 2004
Pagina 14 - Pordenone
Serviva il più vasto consenso per la riforma della scuola
Molti sono i fatti e gli eventi che ricorderemo del governo Berlusconi. Basti citare (alla rinfusa) la crescita smodata di prezzi e servizi, l'aumento di tutti i tipi di reati (quasi il 40% in più), la quotidiana manipolazione dell'informazione quasi completamente in mano al premier, i tagli indiscriminati nel settore pubblico (basti pensare alla sanità o alle forze dell'ordine, che rischiano di rimanere senza benzina per i loro mezzi), i lucrosi appalti per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, una "priorità" che gli italiani stanno finanziando tirando la cinghia ogni giorno...
Uno degli eventi più significativi che ricorderemo sarà certamente la riforma della scuola targata Moratti. Una riforma il cui obiettivo più immediato è quello di risparmiare soldi e fare cassa. Una riforma che, al di là della propaganda, riduce drasticamente orari, materie, personale e risorse da investire.
Giova ricordare alcune delle modifiche che il primo dei decreti attuativi della riforma pone in essere: l'anticipo della frequenza della scuola dell'infanzia a due anni e mezzo, nonostante le perplessità degli enti locali, che non hanno i soldi per far fronte a un aumento della popolazione scolastica in termini di strutture e trasporti. Delle nuove figure professionali promesse e previste per bambini così piccoli non c'è traccia. In qualche modo ci si arrangerà. La scuola materna italiana che, fino a oggi, era portata a esempio nel resto d'Europa rischia di trasformarsi in un asilo nido allargato con un evidente ridimensionamento del progetto didattico a cui s'informa; la figura del docente tutor, con la riduzione di orario e le attribuzioni previste, confligge chiaramente con quanto previsto dal Contratto nazionale di lavoro per i docenti, sgretola l'aspetto della collegialità e della contitolarità didattica degli stessi; la modifica dell'attuale tempo pieno, che costituiva un "progetto educativo" di rilievo. Esso è ridotto a semplice "doposcuola", con una forte riduzione dell'organico. Dovranno mettersi il cuore in pace anche gli studenti della nostra provincia che, nell'attuale anno scolastico, hanno contribuito a formare 378 classi di tempo pieno nella scuola elementare (e 228 di tempo prolungato nella scuola media); la riduzione delle ore d'inglese, italiano e tecnica nella scuola media. Se può essere di conforto per quei membri del governo talvolta imbarazzati nell'uso del periodo ipotetico e dei tempi (non parliamo dell'inglese...!), tuttavia tale riduzione inevitabilmente riduce il valore e la qualità dell'istruzione; l'introduzione di materie facoltative e opzionali che rischiano di trasformare la scuola in un supermarket, a discapito di una forte formazione di base dell'allievo.
Con la riforma Moratti è abolito l'obbligo scolastico per la durata di nove anni, già peraltro insufficiente. L'esigibilità del nuovo diritto-dovere, che la Legge 53 afferma essere costituzionalmente tutelato, è del tutto incerta, per la mancanza del prescritto decreto legislativo e soprattutto perché la riforma prevede un'attuazione graduale, comunque subordinata alla disponibilità di effettive risorse finanziarie. In mancanza di una fase transitoria regolamentata si accresce il rischio dell'abbandono, interrompendo quel percorso virtuoso orientato a livelli più alti d'istruzione e formazione. Né minori preoccupazioni vengono dalla legge costituzionale 3/2001 che assegna alle Regioni potestà di legislazione esclusiva in materia d'istruzione e formazione professionale, nonché potestà di legislazione concorrente in materia d'istruzione.
Non si comprende bene come si faccia ad attuare una riforma a livello nazionale e, nel contempo, a preannunciarne un'altra che frammenta il sistema dell'istruzione a livello di ogni singola regione. Al di là della scomparsa di un sistema d'istruzione nazionale, con il rischio della creazione di standard formativi e valutativi completamente diversi e difformi (mentre si parla di standard europei), viene da chiedersi che sarà del personale della scuola, smembrato da contratti regionali magari concorrenziali (?).
In conclusione, sarebbe stato più opportuno e sensato che su materie così importanti si fosse cercato il maggior consenso possibile (magari coinvolgendo chi nella scuola lavora...). Così non è stato e, nel caso della riforma dei cicli, si utilizza una legge-delega che ha imposto norme che paiono più ideologiche che logiche e che stanno creando notevoli incongruenze e incertezza. Né ci consola il fatto che i sondaggi ministeriali assegnino una percentuale di gradimento della riforma che si attesta vicino al 53%. Evidentemente il buon senso, la ragionevolezza e la ricerca dell'unità, anziché delle divisioni, di questi tempi, sono merce assai rara.
Segretario provinciale di Udine Uil-Scuola