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Mess.veneto-L'esame di Stato ha ancora senso?

L'esame di Stato ha ancora senso? Sono un'insegnante del corso ragionieri - Igea di un Istituto commerciale della provincia; ho partecipato all'esame di Stato dei miei allievi nella commissione c...

18/07/2002
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MessaggeroVeneto

L'esame di Stato ha ancora senso?

Sono un'insegnante del corso ragionieri - Igea di un Istituto commerciale della provincia; ho partecipato all'esame di Stato dei miei allievi nella commissione che, da questo anno, è costituita, come è noto, esclusivamente da docenti del consiglio di classe e da un presidente esterno. La novità aveva già fatto discutere circa la serietà dell'intera procedura e il valore del voto del diploma; io ero francamente tra coloro che sostenevano che, tutto sommato, ritrovarsi l'insegnante del triennio o dell'intero corso nella valutazione finale, poteva trasformarsi in vantaggio per gli allievi impegnati, che avevano affrontato con serietà il percorso scolastico; per gli altri questo poteva essere motivo di preoccupazione. Per questo ho ripetutamente raccomandato ai ragazzi, durante l'anno, di lavorare seriamente fino in fondo e di cogliere l'occasione offerta dalla riforma della maturità avvenuta nel 1999; la possibilità, cioè, di giocarsi l'80% della votazione complessiva in sede di esame prescindendo dal curriculum scolastico, al quale è affidato un massimo di 20 punti. Si sa che alcuni studenti ascoltano le prediche, altri non sembrano preoccuparsene, ma per me era importante che il messaggio fosse stato chiaro e che ognuno di loro conoscesse i rischi del proprio comportamento e, da adulto, si assumesse le proprie responsabilità.
Certamente non potevo pensare che queste mie certezze sarebbero state messe in discussione proprio dagli stessi membri della commissione, compreso il presidente, che hanno scambiato l'esame di Stato come tappa obbligata di una decisione già presa: 'promuovere tutti'; come occasione per difendere quei poveri candidati dagli insegnanti senza 'cuore' e soprattutto dalla intransigenza di qualcuno di loro che negli scrutini finali ha presentato una classe per metà insufficiente. Già, perché questo viene letto da alcuni come incapacità di trasmettere le conoscenze, 'c'è qualcosa che non va' nel metodo di insegnamento. Che cosa importa se quell'insegnante da tre anni ha inutilmente tentato di far recuperare il debito formativo dei suoi allievi, invitandoli a studiare durante l'estate (mentre gran parte preferisce lavorare, non per necessità) mettendosi a disposizione per i corsi Idei già dal primo giorno di settembre (corsi ai quali qualcuno neppure partecipa), prospettandogli la bocciatura (che immancabilmente non viene deliberata)?
Tanto, a cosa serve la ragioneria a un futuro ragioniere? "Imparerà sul campo" o "non farà quel mestiere", pertanto perché non regalargli la promozione e magari qualche voto in più perché "fa pena"?
Anche per me sarebbe stato tanto più facile, durante questi anni di corso, elargire sufficienze e promozioni senza debiti; mi avrebbe evitato di correggere dodici-tredici verifiche all'anno per ogni alunno, mi sarei risparmiata la fatica dei corsi di recupero. Ma la mia coscienza di insegnante che deve far acquisire competenze specifiche, che è orgogliosa di segnalare i suoi allievi meritevoli agli studi professionali e alle imprese che a lei personalmente, ogni anno, si rivolgono pretendendo serietà e capacità nei ragionieri da assumere, la mia coscienza dicevo e la mia professionalità non me lo hanno consentito.
Purtroppo, al di là di ogni altro pretesto, l'obiettivo di questi atteggiamenti tanto prudenti e magnanimi è alla fine quello di evitare i ricorsi degli studenti, obiettivo non dichiarato, ma condiviso da diversi insegnanti. E se promuovendo tutti e regalando voti tale atteggiamento risulta efficace, resta da stabilire se è anche imparziale ed equo nei confronti di quegli allievi che lavorando assiduamente, mantenendo livelli di profitto brillanti durante tutto il corso di studi, hanno raggiunto punteggi ottimi senza dover dire grazie a nessuno. A essi, oltre all'orgoglio di aver 'meritato' un diploma, resta forse il rimpianto di aver sacrificato per lo studio tante occasioni di divertimento, alle quali i loro compagni non hanno saputo rinunciare e l'amarezza di vederli 'premiati' per questo.
E il messaggio che ancora una volta viene dato agli studenti è quello di continuare a 'pretendere': dopo la promozione facile durante il corso e nonostante i debiti formativi non colmati, alla fine, anche il diploma. Un diploma ottenuto senza fatica e alla faccia di quei pochi insegnanti che hanno tentato per cinque anni di trasmettere loro, oltre alle conoscenze e alle abilità, anche il senso del dovere e della responsabilità, nonché il valore che ogni cosa va conquistata.
Alla fine mi chiedo se abbia ancora senso un esame con questo obiettivo e questi effetti, o non sia più opportuno concludere il corso con lo scrutinio finale, risparmiando stress agli studenti, lavoro inutile ai commissari, risorse finanziarie allo Stato.
Lettera firmata
San Daniele


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