Mattino di Padova: No ai tagli sulla ricerca
Vincenzo Milanesi
VINCENZO MILANESI
Quest’anno le università aprono le porte alle nuove matricole con una speranza anch’essa nuova: è quella che nasce dal «patto per l’università e la ricerca» proposto al mondo accademico dal governo, con un’intesa positiva e inattesa tra il ministro Mussi e il suo collega Padoa-Schioppa. A fronte del riconoscimento di un sostanziale sottofinanziamento per i costi dei docenti e del personale tecnico e amministrativo degli Atenei, questi ultimi devono impegnarsi a un uso più oculato delle risorse proprio per le spese di personale. E su questo impegno non si potrà più essere approssimativi. Il rigore nelle scelte dovrà essere chiaro e preciso, perché ciascun Ateneo sarà puntualmente valutato nelle sue scelte di allocazione delle risorse. Speriamo che il governo riesca a trovare sul bilancio dello Stato le risorse necessarie per rendere operativo il «patto» fin dal prossimo 2008.
Sarebbe un segno che anche da parte governativa si è deciso di prendere assai sul serio il «grido di dolore» proveniente dagli Atenei, che negli ultimi anni si è fatto più acuto. E che si vogliono finalmente premiare quelle università che hanno i conti in ordine nei propri bilanci e fanno egregiamente il loro dovere al servizio del Paese e delle giovani generazioni. E ce ne sono, sebbene per l’opinione pubblica sia difficile rendersene conto, anche per effetto di un’informazione spesso tendenziosa e distorta ispirata a un’incomprensibile voglia scandalistica di generalizzare episodi oggettivamente scandalosi che vanno denunciati ma che non sono affatto la norma nelle nostre università, come invece a qualcuno piacerebbe far credere. Rigore nelle spese per il personale docente e tecnico-amministrativo va bene, anche se per far funzionare le nostre università di docenti, da un lato, e di competenze a supporto delle attività di ricerca e di insegnamento, dall’altro, c’è un assoluto bisogno, come è ovvio. Anzi, si può dire che il fattore primo di qualità per un’istituzione che ha come proprio compito quello di formare il «capitale umano» del futuro è proprio la qualità delle «risorse umane» che deve avere a disposizione per esercitare la sua insostituibile funzione. La qualità deve essere garantita, innanzitutto dalle procedure da impiegarsi nelle scelte delle risorse umane arruolate. Ma anche la quantità di queste risorse deve essere adeguata «alla bisogna», come ricordava ieri Giancarlo Corò su queste pagine. E devono essere soprattutto risorse giovani, motivate e pronte a dare il meglio di sé nell’interesse davvero «superiore» - come recitano le formule burocratiche di un tempo - dell’istituzione universitaria. Ci sono tuttavia anche altre dimensioni che non possono essere trascurate nel piano di finanziamento straordinario di cui il sistema universitario nazionale ha bisogno. E la prima, ovviamente, è quella delle attività di ricerca. Che sono essenziali per un’università degna di questo nome. Ma la ricerca costa. E non basta certo la pur necessaria razionalizzazione dei costi di personale a finanziare la ricerca nelle università, liberando risorse finanziarie comunque preziose per essa, come già accade oggi negli Atenei più virtuosi. La politica fatta in questi anni dall’Ateneo patavino, ad esempio, dimostra che è possibile un sostegno importante alla ricerca, ricavando fondi dal proprio bilancio, se gestito oculatamente. Ma ciò non basta assolutamente. E proprio per questo motivo vi sono i programmi di finanziamento nazionali delle attività di ricerca, cui gli Atenei possono attingere in base alla qualità dei progetti che presentano. Sono fondi dello Stato, che finanziano i bandi annuali attesissimi da tutti i docenti delle nostre università. Non sempre il meccanismo di scelta dei progetti migliori da finanziare ha funzionato a dovere, negli ultimi anni, ma le procedure di valutazione possono essere ulteriormente migliorate. Il governo Prodi è partito bene un anno fa, mettendo a fuoco nella legge finanziaria del 2007 un piano di finanziamento triennale della ricerca di notevole consistenza quantitativa. Con il dichiarato intento di rilanciare la ricerca pubblica in Italia, dove è purtroppo ben noto che i finanziamenti privati alla ricerca sono sensibilmente inferiori che negli altri Paesi avanzati, Usa e Giappone in testa. Perché allora quel piano di rilancio segna ora il passo, con stanziamenti reali di molto inferiori a quello che ci si sarebbe attesi, leggendo le cifre scritte nella finanziaria? Attendiamo fiduciosi anche qui un fatto nuovo e positivo, come promesso e come dimostrato da atti concreti, come la legge finanziaria dell’anno in corso. Sarebbe davvero un peccato che le novità positive arrivate con la proposta di «patto» di cui si diceva, e con gli impegni presi nel Dpef varato da poco, venissero controbilanciate in negativo da una riduzione in termini reali dei fondi pubblici per la ricerca. Sarebbe una doccia fredda di cui non abbiamo bisogno, soprattutto negli Atenei che continuano, e hanno continuato anche in questi anni difficilissimi, a fare, nonostante tutto, fino in fondo il loro dovere.