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Mattino di Padova-MORTE DELL'UNIVERSITÀ L'ASSASSINO È NOTO

RIFORMA MORATTI MORTE DELL'UNIVERSITÀ L'ASSASSINO È NOTO VINCENZO MILANESI Legge sullo stato giuridico e il reclutamento dei docenti universitari: ultimo atto. E' prevista l'approvazione ent...

13/10/2005
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Il Mattino di Padova

RIFORMA MORATTI
MORTE DELL'UNIVERSITÀ L'ASSASSINO È NOTO
VINCENZO MILANESI

Legge sullo stato giuridico e il reclutamento dei docenti universitari: ultimo atto. E' prevista l'approvazione entro questo mese con un voto di fiducia alla Camera dei deputati, così come al Senato della Repubblica. Una occasione persa e un danno potenzialmente gravissimo per l'Università italiana, se il prossimo governo non correggerà radicalmente il tiro, cambiando in modo sostanziale la legge. E' un peccato che vada a finire in questo modo francamente vergognoso una vicenda iniziata oltre due anni orsono, con la presentazione del disegno di legge da parte del ministro Moratti che ha provocato reazioni negative in tutti gli Atenei, da parte di quasi tutte le diverse (e spesso contrapposte tra loro) componenti del mondo universitario italiano. Il documento votato all'unanimità dal senato accademico di Padova dichiara ancora una volta il forte dissenso rispetto all'impostazione di fondo della legge Moratti: Padova esprimerà con una vigorosa dimostrazione di compattezza la sua contrarietà attraverso le assemblee di Facoltà programmate per oggi, non rientrando, ovviamente, nelle competenze degli organi collegiali di Ateneo la proclamazione di scioperi o di "blocchi" delle attività istituzionali.
La Conferenza dei rettori, che si riunirà in seduta straordinaria oggi medesimo, considererà tutte le possibili forme di protesta e di pressione sul governo, inclusa la decisione di un'autosospensione dalle proprie funzioni di tutti gli organi accademici. La cosa più importante oggi è far comprendere il senso della nostra protesta agli studenti nelle Facoltà, senza rischiare l'isolamento rispetto all'opinione pubblica con manifestazioni rumorose ma dalla dubbia efficacia.
L'errore di fondo del provvedimento normativo in corso di approvazione consiste nel non voler articolare i ruoli della docenza universitaria su tre livelli. O meglio, i livelli sarebbero tre, ma il primo non prevede una stabilizzazione a tempo indeterminato dei ricercatori, consistendo in un contratto a tempo determinato della durata massima di sei anni.
Nessuno ha mai dubitato che sia necessario un periodo adeguato di "prova" e di training per i giovani, che devono pur apprendere il mestiere del "far ricerca", al termine del quale se non hanno dimostrato qualità e motivazioni adeguate dovranno lasciare l'università. Ma non si può proporre un contratto a tempo determinato per sei anni a giovani che hanno già conseguito, dopo aver preso la laurea magistrale che dura cinque anni, un dottorato di ricerca di durata perlomeno triennale, che hanno avuto borse di studio post-dottorato o assegni di ricerca di durata dai due ai quattro anni.
In Italia non esiste un mercato del lavoro intellettuale come negli altri Paesi avanzati in cui un'industria sia disponibile ad assumere un quarantenne che non è riuscito a vincere un concorso per professore associato. Ai giovani bisogna dare la possibilità di inserirsi stabilmente in un ruolo universitario, lo si chiami di "ricercatore" o come si voglia, al massimo tre o quattr'anni dopo il dottorato di ricerca.
Altrimenti i migliori se ne vanno all'estero, dove sarà anche dura la carriera per l'impegno di lavoro richiesto, ma sono pagati molto meglio e hanno maggiori possibilità di restare comunque all'interno del mondo della ricerca, in un laboratorio di un'industria o in un'università più periferica di minor prestigio rispetto a quella in cui non hanno "sfondato". Senza un terzo livello di ruolo, oltre ai due dei professori associati e ordinari, inoltre, non sarà possibile dare un riconoscimento con una docenza a tutti gli effetti ai ricercatori universitari oggi in servizio, la gran parte dei quali merita sicuramente quel riconoscimento.
Su altre norme previste dal testo approvato ci sarebbe da discutere e da obiettare, e in particolare sull'illusorietà dell'idea di una università migliore e più efficiente perché basata sul precariato dei giovani protratto nel tempo oltre ogni ragionevolezza. Ma c'è un altro aspetto della situazione venutasi a creare, dopo mesi di dibattito su questo provvedimento di legge, che merita di essere evidenziato.
E' chiaro che il dibattito sul provvedimento è venuto assumendo gradualmente sempre più le connotazioni di uno scontro a livello politico generale, tra maggioranza di governo e opposizione parlamentare, al di là del merito specifico: ciò ha avuto una conseguenza pericolosissima per il nostro Paese.
Sulla stampa vicina al governo è iniziata infatti da mesi una campagna mediatica di denigrazione sistematica e calunniosa del nostro sistema universitario, a evidente supporto della tesi che solo resistenze corporative di una categoria di docenti inefficienti e fannulloni hanno alimentato le critiche al provvedimento proposto dal ministro, per non far perdere rendite di posizione e privilegi ingiustificati a quella medesima categoria.
La denigrazione a mezzo stampa di cui è oggetto l'Università italiana oggi avrà gravi conseguenze per tutti, non solo per chi in essa vive e lavora quotidianamente dando il meglio di sé: la qualità dei nostri laureati ci è stata finora sempre invidiata all'estero, e la ricerca che in molti dei nostri Atenei si svolge è di altissimo livello, e come tale riconosciuta a livello internazionale, nonostante il sottofinanziamento e l'inadeguatezza delle nostre strutture di laboratorio. Se negli Atenei prevarrà la demotivazione e la sfiducia, sarà davvero la morte dell'università italiana.
Sarà difficile rimediare in tempi brevi a questa catastrofe. Sapremo però, anche se sarà una magra consolazione, chi ha voluto quella morte.
Vincenzo Milanesi


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