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Manifesto-Trentino;La culla della formazione professionale

La culla della formazione professionale Il sistema che piace tanto a viale Trastevere nasce qui. Ma quante differenze Difficile tradurre il modello trentino a livello nazionale. Qui il mercato d...

14/06/2004
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il manifesto

La culla della formazione professionale
Il sistema che piace tanto a viale Trastevere nasce qui. Ma quante differenze

Difficile tradurre il modello trentino a livello nazionale. Qui il mercato del lavoro è di piena occupazione e il problema è tenere i ragazzi sui banchi
CI.GU
TRENTO
In questi giorni Trento è meta di veri e propri pellegrinaggi. Non c'entrano i meravigliosi paesaggi alpini, quanto il cuore del modello trentino sui banchi di scuola: il sistema di formazione professionale. Che da queste parti è alla base di un risultato record, quello sulla scolarità: il 95% di chi continua a studiare dopo le medie, raggiunge un titolo di studio o una qualifica professionale, 6,1 punti sopra alla media nazionale. Il ministro Moratti va dicendo che il doppio canale tra istruzione (nazionale) e formazione professionale (regionale) proposto dalla sua riforma non è affatto un modello che ripristina le scuole di avviamento professionale: guardate Trento, ripete. Va bene: guardiamo Trento. Prima di tutto, un po' di storia: narra la leggenda che dopo la seconda guerra la provincia trentina fu sostanzialmente snobbata dallo stato nazionale. Non furono creati, ad esempio, istituti tecnici e professionali. Siccome i trentini non chiedono certo l'elemosina la Dc - che ha tenuto banco per parecchio tempo - creò diversi centri di formazione professionale, che non danno diritto a un titolo di studio ma solo a una qualifica. Fautore di questo sistema, il mitico presidente della provincia Bruno Kessler, quello che a Trento ha fondato la prima facoltà italiana di sociologia (ci studiò Curcio).

Essendo un unicum in Italia i centri di formazione professionale - tutti privati anche se dall'87 ce ne sono anche a gestione diretta della provincia che, in ogni caso, stabilisce gli indirizzi e soprattutto sborsa parecchi quattrini - sono in continua sperimentazione. Alla base c'è un orientamento che non rifiuta l'idea della scuola che insegna anche a fare: "Il problema, in Trentino, è tenerli nella scuola. Qui, dopo la terza media, il lavoro si trova subito, e i ragazzi mi vanno a guadagnare qualche milioncino al mese", spiega Laura Fratton, responsabile della formazione per la Cgil e insegnante in un alberghiero. A Trento la disoccupazione è al 3,4, il mercato è in pratica di piena occupazione.

Ma negli anni, la sfida del modello trentino è stat proprio quella di integrare i due sistemi: "Dagli anni `90 è diventato sempre più chiaro che bisognava emanciparsi dall'ottica di addestramento, cercare di coniugare l'indirizzo professionale con la crescita culturale e della persona - spiega il direttore del settore per la provincia, Roberto Sandri - I primi due anni (su tre, ndr) di ciascuna macroarea, come turismo, commercio, eccetera, sono stati pensati in allineamento alle tendenze culturali della scuola dell'obbligo. Lo abbiamo fatto sicuri che a livello nazionale si sarebbe arrivati a un innalzamento dell'obbligo scolastico. Volevamo quindi precludere scelte troppo anticipate". Da qui, l'idea di costruire delle "passarelle" - di cui da Berlinguer in poi, tutti parlano - dando la possibilità di passare (con un colloquio per il passaggio al terzo anno, mentre per i professionali con un esame) da un'area all'altra e, con un numero di scelte sempre più allargato, dalla formazione professionale agli istituti tecnici e professionali. Facciamo un esempio, aiutati da Laura Fratton: "Se Marco dopo le medie pensa di voler imparare a fare l'artigiano va alla formazione professionale. Il primo anno fa tutto: il meccanico, un po' di elettrico, un po' di edile eccetera. Al secondo anno bisogna scegliere la famiglia (meccanica, elettrica ecc..) e al terzo anno si sceglie la qualifica vera e propria (per esempio operatore meccanico). Sin dal primo anno si fa opera di orientamento, cosicché il ragazzo si chiarisce le idee: capisce che ci sono diverse alternative, sia per la specializzazione da scegliere che per la possibilità di transitare alla scuola. La cosa importante è che il sistema formativo non deve volersi "tenere" i ragazzi". Il sistema valutativo c'è: il ragazzo deve avere buoni risultati, e chi decide di passare alla scuola deve fare dei corsi di recupero, anche se si vanno cercando modalità più flessibili. Per fare tutto questo sono stati stretti procolli d'intesa con lo stato nel `95 e nel `96, come dire che Moratti in questo arriva buona ultima. Di positivo, nell'ultimo protocollo, c'è che il sistema delle passerelle è stato esteso a tutti i macrosettori.

Ma questo modello è esportabile su tutto il territorio nazionale? E c'entra qualcosa con il doppio canale proposto dal ministro? La prima differenza sta proprio nel doppio canale: a Trento sia la formazione professionale che l'istruzione (qui le scuole statali si chiamano a carattere statale) sono a carico del bilancio provinciale. Dice l'assessore all'istruzione Salvaterra che questo è un elemento fondamentale: "L'integrazione non è solo uno slogan, perché sappiamo dove e come dislocare le risorse e il personale". Il secondo punto sono gli investimenti: che dire del fatto che la provincia di Trento spende, per ciascun alunno, quasi il 40% in più della media nazionale? E che il 22% del bilancio provinciale è dedicato a istruzione e formazione? Forse, è proprio in questi "piccoli" particolari la ragione di un successo.


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