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Manifesto: L'ultimatum di Bologna: se scioperate vi sostituiamo

I ricercatori dovranno rispondere per e-mail ai presidi

15/09/2010
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il manifesto

Roberto Ciccarelli
Il senato accademico dell'università di Bologna ha imposto un ultimatum ai 764 ricercatori che aderiscono al blocco della didattica contro la riforma Gelmini. Entro venerdì prossimo dovranno rispondere alla mail inviata dai 23 presidi dell'ateneo felsineo e chiarire se intendono astenersi dalla didattica che per legge non sono tenuti a svolgere. Alla scadenza del termine chi non avrà risposto sarà considerato indisponibile. I corsi in cui ha insegnato fino ad oggi a titolo pressocché volontario verranno messi a disposizione dei docenti a contratto tramite un bando.
A due giorni dall'assemblea nazionale alla Sapienza di Roma in cui la rete 29 aprile deciderà di ribadire questa forma di protesta, il segnale poco diplomatico che viene da Bologna può essere interpretato sia come un atto dovuto per garantire l'inizio dell'anno accademico, sia come una radicalizzazione dello scontro interno alla comunità accademica. «Quella del senato accademico è una decisione forte e sarà la goccia che farà traboccare il vaso della protesta dei ricercatori che sono sul piede di guerra - afferma Loris Giorgini, coordinatore locale della rete 29 aprile - Noi consegneremo i moduli di indisponibilità e andremo avanti. Voglio vedere se riusciranno a trovare docenti qualificati, competenti e capaci di fare didattica di qualità capaci di sostituirci. Aspettiamo una risposta univoca, forte e chiara dalla Gelmini. Deve dire cosa vuole fare dei ricercatori, dei precari, delle risorse per l'università. E alle sue dichiarazioni dovranno seguire i fatti».
La mozione del più alto organo accademico bolognese ha fatto emergere la realtà del lavoro che da anni si svolge nelle università italiane. Buona parte della didattica si regge sul lavoro non retribuito dei ricercatori e dei precari. È bastato che i ricercatori rifiutassero di alimentare questo circolo vizioso per fare cadere il castello di sabbia. «Chiederemo ai docenti di non coprire i corsi - continua Giorgini - visto che tutte le facoltà dell'ateneo si sono espresse in questo senso e sono solidali con la nostra lotta». Pur contando su fondi straordinari che garantiscono il pagamento di mille euro a corso, 50 euro lordi all'ora, i bandi bolognesi corrono il rischio di andare deserti come è già accaduto a Padova e in altre città italiane. È però innegabile che la decisione del senato accademico corre il rischio di scatenare la guerra tra i 1254 ricercatori strutturati e i 1800 dottorandi, i 1057 assegnisti di ricerca e i 1400 contrattisti bolognesi. «Per i precari noi chiediamo un reale percorso lavorativo garantito - aggiunge Giorgini - Non è certo coprendo il corso di un ricercatore che si risolve il problema del precariato in italia, anzi lo si riproduce all'infinito».
Quella dei precari è una situazione delicata. Non si può semplicemente accusare di crumiraggio chi accetterà di partecipare ai bandi. Ma non si può nemmeno ignorare la condizione di chi, a causa del taglio delle risorse, sarà presto licenziato da un lavoro che svolge spesso da un decennio. «Per evitare una guerra tra poveri - afferma Gigi Roggero, assegnista di ricerca a Bologna - è necessario che i ricercatori facciano una battaglia contro lo smantellamento dell'università pubblica e non solo a difesa del proprio ruolo». Quello che è mancato fino ad oggi è un'alleanza strategica con gli studenti e precari che prenda la parola contro i rettori che ritengono di risolvere questa crisi trattando privatamente con la Gelmini. «Senza una lotta generalizzata le battaglie specifiche non hanno prospettive - aggiunge Roggero - Più si generalizza, più si hanno possibilità di vittoria. Più si settorializza, più c'è la possibilità di una lotta fratricida».
«Come precari - aggiunge Francesca Ruocco della rete ricercatori precari di Bologna - appoggeremo la lotta dei ricercatori e organizzeremo insieme delle iniziative quando i bandi saranno pubblicati. Ma questa protesta deve coinvolgere tutti, a partire dagli studenti che saranno i primi a subire le conseguenze di questa crisi devastante. Quello che bisogna cambiare è un intero sistema di produzione in cui i ricercatori non fanno ricerca ma sono costretti a fare didattica e i precari accettano qualsiasi corso per mettere insieme un reddito da fame». Pochi giorni fa la Flc-Cgil ha ottenuto dal rettore Ivano Dionigi un tavolo di trattativa. L'obiettivo è creare un'anagrafe dei precari che, insieme ai ricercatori, hanno permesso all'ateneo bolognese di raggiungere i primi posti nei rating ministeriali sulla produttività scientifica. «Bologna - aggiunge Francesca Ruocco - è un ateneo virtuoso anche grazie a noi». Il prossimo passo sarà quello di ottenere un sistema di regole per evitare abusi sulle docenze a contratto.


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