La scuola per Milano
Il mondo della scuola, e della formazione più in generale, non si riduce ad una categoria di lavoratori e professionisti, più o meno corporativa
Marilena Adamo
Il mondo della scuola, e della formazione più in generale, non si riduce ad una categoria di lavoratori e professionisti, più o meno corporativa, ma comprende quell'insieme di persone – genitori, studenti di ogni età, imprese innovative – che sanno quanto conti una scuola di qualità per se stessi, e i propri progetti di vita, e per il futuro della società milanese. Persone che oggi assistono ai tagli e alle contrazioni di offerta formativa, al calo di una qualità a lungo garantita a Milano, persone che ricordano – chi tra i milanesi non ha fatto un corso di lingua del comune? - e non si riconoscono più, persone che guardano al futuro e sanno che si giocherà in termini di competenze e innovazione. Nel programma di Pisapia la scuola torna ad essere priorità. Il Comune ha potenti leve: l'edilizia scolastica, che significa oltre alla dignità e alla sicurezza, garantire luoghi di vita gradevoli e orientati all'apprendimento (dall'arredo ai laboratori), e il diritto allo studio, che significa garantire il dettato costituzionale verso i “capaci e meritevoli” in un approccio moderno di politiche di pari opportunità, di promozione e prevenzione. A cominciare dai più piccoli, a sostegno dell'impegno educativo delle famiglie, fino ai più grandi orientati verso il lavoro e la piena cittadinanza, nella difficile sfida tra l'innalzamento dei livelli di apprendimento e il non lasciare indietro nessuno. Ma su questo Milano ha alle spalle una grande tradizione da rivisitare alla luce della nuova stagione e della nuova complessità sociale. Tradizione dimenticata e tradita in questi ultimi quindici anni in un lento percorso, che ha avuto un'accelerazione negli ultimi cinque, in cui si sono sommate scelte della amministrazione Moratti (l'accorpamento dell'educazione con l'assistenza, le chiusure e le riduzioni), con l'abbassamento degli standard regionali, per finire, negli gli ultimi tre anni, con gli effetti dei tagli Gelmini-Tremonti. Quando io ricordo la tradizione del comune in questo campo mi sento dare della passatista. Qualcuno mi deve ancora spiegare che cosa ci sia di moderno nella scuoletta del grembiulino, del 5 in condotta, del maestro unico, nelle classi di 30 alunni, nell'apprendistato a 14 anni; ma la Milano che io rivoglio è quella che, dai tempi di Caldara in poi, ha investito in educazione e formazione ben al di là delle sue competenze. In una rete senza uguali di scuole materne, serali, di lingue straniere, di alta formazione per interpreti e artistica (musica, teatro, cine-TV), con un taglio che è sempre stato di innovazione e in parte di supplenza delle carenze dello Stato. La Milano che in questo come in altri campi, era sempre un passo avanti rispetto al resto del paese: che inventò il tempo pieno prima della legge nazionale, l'educazione degli adulti interagendo coi modelli europei più avanzati, il liceo linguistico pubblico unico in Italia, il supporto alla scuola statale per l'integrazione dei bimbi stranieri inventando le nuove figure professionali, o i laboratori territoriali o l'insegnamento dell'informatica a insegnanti e studenti del biennio superiore negli anni '80. Certo, si dice, costava molto. Sì, costava, e costerà, ma quanto ha reso quell'investimento? C'entrerà pure qualcosa con il suo sviluppo economico, con la capacità di integrare nuovi cittadini, con la coesione sociale che ne è stata per anni condizione e conseguenza? Si dice , ma adesso c'è la crisi, non ci possiamo più permettere quello che facevamo nel passato. Al contrario, proprio perchè c'è la crisi la nuova amministrazione Pisapia dovrà tornare ad investire sulla scuola e sulla formazione e dare senso a quella parola tanto sbandierata, quanto disattesa dal centrodestra, il merito, che va coltivato e premiato come risorsa collettiva. Se lo aspettano i giovani e la rete di piccole e medie aziende innovative che già si confrontano col mondo e hanno bisogno come il pane di ricerca, innovazione, buona formazione ai diversi livelli. Insomma dovremo reinventare in questo campo una nuova stagione di quel “riformismo padano”che ha fatto grande Milano attraverso l’intreccio inscindibile di due finalità : innovazione, -guidare processi nuovi, aprire strade, essere un passo avanti-, e solidarietà, intesa non come carità, ma come pari opportunità da garantire. Quel che sarà tutto da ripensare, neanche a dirlo, i contenuti: profili professionali nuovi, interlocutori nuovi, didattiche nuove. Se in dieci anni Rocco e suoi fratelli son diventati dei bravi “tennici”, come si dice a Milano, anche i cugini di Alì lo diventeranno. E questa si chiama anche sicurezza