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La Nuova Sardegna: «Non sono le tre maestre per classe a indebitare l'Italia

La realtà è che stiamo vivendo tutti una pericolosa stagione di scompiglio confusionale

04/09/2008
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Nuova Sardegna

Franco Enna

La realtà è che stiamo vivendo tutti una pericolosa stagione di scompiglio confusionale. Siccome ci sentiamo incapaci di dare una definizione concreta al nostro periodo storico, ci rifugiamo nell’oblio dei ricordi della nostra infanzia, quando credevamo che Democrazia Cristiana fosse il nome di una santa. La pensano così anche personaggi eccellenti della cultura di sinistra, ben felici anche loro di ricordare il “buon” maestro Perboni del libro Cuore, che impartiva lezioni di vita con la “Cavallina storna” e ti stangava a colpi di tabelline. Poco importa sapere che quel genere d’insegnamento risale alla “Legge Casati” del 1859, quando s’incominciava già a pensare che “fatta l’Italia occorre fare gli italiani”, e si mandavano allo sbaraglio “alfabetizzatori” con la licenza media. Poco importa sapere che l’obiettivo è quello di recuperare i soldi che mancano al Tesoro togliendoli proprio alla scuola elementare “spendacciona”, che con le sue tre maestre per classe (in realtà si tratta di tre maestre su due classi) ha indebitato l’Italia. Meno ancora importa loro sapere che proprio questo modello educativo ha permesso alla scuola primaria italiana di collocarsi stabilmente al quarto posto per livello di competenze rispetto ai pari età del resto del mondo, salvando in qualche modo la bancarotta formativa degli altri ordini di scuola. E allora si ritorna al grembiulino nero col fiocco tricolore, la cui funzione era quella di nascondere gli stracci degli scolari più poveri. A qualcuno che sta nella stanza dei bottoni non sarebbe male ricordare che la riforma degli “Organi Collegali” del’74 fu sperimentata per la prima volta proprio in Sardegna, su autorizzazione ministeriale, in una scuola elementare sassarese del Latte Dolce, un quartiere periferico fortemente penalizzato sul piano sociale, ma con un gruppo d’insegnanti motivati e decisi a mettersi al servizio dei propri alunni. Era il 1972. E alcuni di noi, senza chiedere il permesso a nessuno, “giocammo” anche a lavorare in squadra, attribuendo a ciascuno il compito di approfondire le singole discipline, per fornire ai nostri allievi più competenze possibili e maggiori scudi di difesa nei confronti dei loro coetanei “cittadini” molto più fortunati. Altro che ’68 maledetto! Se i padroncini del Nord hanno voglia del maestro Perboni, se lo tengano pure. Ma la Sardegna ha ancora bisogno di difese immunitarie più solide. Oggi per mettere in discussione la funzionalità dell’educazione, bastano tre o quattro bulli che scaricano su Intenet le immagini in cui toccano il sedere alla professoressa scema. Oddio, che tragedia! E allora che fai? Interdici tutti i giovani dall’uso del computer? Non puoi, perché ogni generazione si evolve con la tecnologia del suo tempo. Ci vuole una scuola pubblica multidisciplinare, per questo genere di adeguamenti epocali. Ci vogliono aule e laboratori. Ci vogliono dirigenti autonomi e insegnanti motivati. Ma questo genere di cambiamento sarebbe troppo costoso. Meglio ritornare al cinque in condotta, alla maestrina dalla penna rossa, al maresciallo Radetzky. Meglio mettere la divisa ai ragazzi, licenziare gli insegnanti e poi chiamare Colaninno che ti fa un bell’esubero del personale di Alitalia e mette i piloti a dirigere le scuole, i controllori di volo ad insegnare nelle aule e una bella hostess al posto del bidello Piero.


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