La Nuova Sardegna: La cultura sconfitta dal mercato
E’vero: i dati che emergono dall’indagine Ocse-Pisa sono drammatici.
MASSIMO ONOFRI
E’vero: i dati che emergono dall’indagine Ocse-Pisa sono drammatici. I questionari che sono stati somministrati a ventunomila quindicenni parlano sin troppo chiaro: il sessantadue per cento di costoro ignora che l’alternanza del giorno e della notte sia dovuta alla rotazione della terra intorno al proprio asse. Di più: tre adolescenti su dieci non sono in grado di comprendere una semplice formula come quella del tasso di cambio da una valuta ad un’altra, mentre per un quarto degli alunni di scuola media la lettura di un semplice grafico rappresenta una difficoltà insormontabile. In brusca sintesi: i giovanissimi italiani non sanno leggere, né scrivere, né far di conto: ragion per cui il ministro Fioroni ha parlato di «un’emergenza non solo della scuola italiana ma di tutto il sistema paese». E non si può certo dargli torto: non soltanto i coetanei europei, ma addirittura quelli asiatici, se la cavano molto meglio dei nostri ragazzi.
Le misure correttive proposte sono improntate all’ormai consueto interventismo e decisionismo ministeriale, a quella sua nostalgia di gran provinciale per gli studi solidi dei buoni tempi andati, insomma a quello spirito impavidamente reazionario di conio umanistico e gentiliano, di cui abbiamo già avuto consistente dimostrazione. In prima istanza: finanziamenti mirati - cinque milioni circa- per combattere la dispersione scolastica e poi, a ruota, un deciso (ma quanto decisivo?) incremento del fondo, intorno ai trecentoventi milioni- per organizzare i corsi di recupero e di sostegno a saldare realmente, e con tempestività, i debiti formativi accumulati. In seconda battuta: un piano di riqualificazione e aggiornamento dei docenti italiani che patiscono - e il dato è inquietante - un processo di invecchiamento inesorabile, quando è vero che la loro età media si attesta sui cinquant’anni, mentre in tutta la scuola media italiana - rivela il ministro - si possono trovare soltanto due insegnanti di matematica sotto i trentuno anni. Fatte salve le buonissime intenzioni e quella vivace intraprendenza che sfida la naturale inerzia della nostra scuola - ma anche certo pedagogismo edonista e progressista - una domanda risulta inevitabile: quante possibilità ha di giovare davvero alla scuola italiana, e all’intero Paese, la cura Fioroni? Come si può operare per singole e rapsodiche iniziative, non importa quanto lodevoli, senza trarne le inevitabili conseguenze relativamente a tutto il sistema scolastico e universitario, senza insomma mettere mano all’ennesimo cambiamento globale? E più precisamente: come conciliare queste stesse iniziative con l’efficientismo aziendalista della riforma Berlinguer e Moratti, in beata continuità l’una con l’altra, nonostante l’opposta collocazione politica dei due ispiratori? In attesa che il governo di centrosinistra, quanto a politica scolastica, risolva le sue contraddizioni, un solo fatto ci pare sicuro: nella nuova scuola enfaticamente professionalizzante - in realtà sempre più burocratizzata e screditata nella sua vocazione educativa e formativa -, quella che sancisce la vittoria totalitaria del mercato, sono entrambe le culture, la scientifica e l’umanistica, una volta nemiche, a soccombere veramente.