La Nazione/Umbria: PIANO TRIENNALE asili nido: dalla Cgil forti dubbi sulla bozza proposta dalla Regione
la Fp-Cgil e la Flc-Cgil dell'Umbria tornano a ribadire l'esigenza di introdurre attraverso il piano triennale correttivi alla legge regionale 30/05
PIANO TRIENNALE asili nido: dalla Cgil forti dubbi sulla bozza proposta dalla Regione. «Il Piano triennale sui servizi socio-educativi per la prima infanzia proposto dalla giunta regionale nell'infuocata audizione consiliare di giovedì scorso non risponde adeguatamente né in termini quantitativi né qualitativi al reale bisogno dei bambini e delle bambine e dei loro genitori». Lo sostengono la Cgil regionale, la Fp-Cgil e la Flc-Cgil dell'Umbria che tornano a ribadire l'esigenza di introdurre attraverso il piano triennale correttivi alla legge regionale 30/05 che palesa «forti limiti strutturali». In particolare il sindacato confederale e le categorie del pubblico impiego e della scuola evidenziano quattro questioni che non hanno ancora trovato una risposta. Il primo problema riguarda «la mancata volontà di concordare tra Regione e Comuni una linea di indirizzo chiara per la pianificazione dell’offerta socio-educativa dei territori». La Cgil fa notare infatti che nel 2006 soltanto 29 dei 92 comuni umbri erogavano il servizio asilo nido. E anche se nel piano triennale presentato dalla giunta si evidenzia, al 4 febbraio scorso, un leggero aumento dell’offerta di asili nido, da 29 a 36 comuni, questo non dà comunque un'idea chiara del livello attualmente raggiunto dalle liste di attesa. Inoltre, il tasso di «dotazione strutturale» in Umbria, ovvero il rapporto tra posti disponibili e numero di bambini e bambine da 0 a 3 anni per comune, è mediamente pari al 13,6%, con una forte variabile tra territori (l'Ue lo vuole al 33% entro il 2010). «Quindi – sostengono Cgil, Fp e Flc dell'Umbria – in attesa di una riforma nazionale degli asili nido, Comuni e Regione debbono porsi il problema di come soddisfare le esigenze inevase di migliaia di famiglie». La seconda questione è la mancanza di una «risposta pubblica coordinata alla complessità dei bisogni dell’infanzia». Il terzo problema è la mancanza delle procedure per l'accreditamento delle strutture, (necessario per i finanziamenti pubblici). Infine, manca un’applicazione univoca del riconoscimento pieno dei profili professionali.