Corriere: La rivolta di Bari, capitale dei test truccati
Proseguono le inchieste della magistratura su concorsi e esami nell'università barese
Petrocelli, il nuovo «magnifico»: codice etico e tetto del numero di mandati
MILANO — Concorsi pilotati, test truccati, esami venduti. Ora a Bari anche gli studenti hanno deciso di dire basta. «Ma davvero pensate di fare carriera senza raccomandazioni, senza essere figli di qualcuno?«, ha chiesto una ragazza del terzo anno durante un'assemblea ad Economia. L'ex rettore Giovanni Girone, presente alla riunione, ha girato la faccia da un'altra parte. Nella sua facoltà insegnano la moglie, un genero e tre figli. Nepotismo e malversazioni hanno fatto di Bari la capitale della corruzione universitaria. E di fronte alla progressiva scomparsa della meritocrazia dalle aule e dai concorsi, è impossibile restare indifferenti. «Il sistema universitario attraversa un momento critico ed attualmente è sotto attacco — spiega il nuovo rettore, Corrado Petrocelli —. Ma non lo merita: nel complesso della pubblica amministrazione la nostra è la realtà più produttiva ».
Non la pensa così la magistratura, che da qualche anno a questa parte ha preso di mira proprio l'università e i suoi alberi genealogici. «Ma anche noi abbiamo fatto la nostra parte, denunciando e fornendo ogni tipo di aiuto», insiste Petrocelli, che si fa forte del codice etico approvato a gennaio scorso, dopo una gestazione durata due anni avviata proprio da Girone. «E poi, per quanto riguarda le cariche a lunga scadenza, posso dire di sentirmi in minoranza alla Crui. A Bari il massimo è due mandati triennali. Per me possono bastare».
L'ultimo dei magnifici matusalemme, Marco Mancini, rispetto ai colleghi è un ragazzino. Ordinario di Glottologia e segretario della Crui, ha 50 anni, 8 dei quali spesi alla guida dell'università della Tuscia. Proprio la scorsa settimana ha ottenuto dal senato accademico quella che è stata definita «la riforma della governance».
«Dopo aver svolto i suoi due mandati elettorali della durata di tre anni ciascuno — spiega il docente di Scienze dell'Alimentazione, Mauro Moresi, capofila di una sparuta minoranza di oppositori — nel 2004 ha chiesto una riforma statutaria per estendere di altri tre anni il suo mandato con la scusa di aggiungere alcuni nuovi organi nello statuto. Oggi si è accorto che non ha potuto realizzare quei nuovi organi e ha chiesto un'ulteriore modifica statutaria per ricandidarsi per ulteriori tre anni, portando così a 12 la permanenza del rettore al comando dell'Ateneo, in barba a tutti i principi regolamentari e di etica».
Ora alcuni docenti vorrebbero fermarlo, e stanno perciò preparando un ricorso al Tar: «Come ha detto Gherardo Colombo qualche tempo fa — conclude Moresi — in questo paese non esistono regole. E se ci sono si cambiano ». Lo scorso gennaio, l'allora ministro Fabio Mussi aveva deciso di limitare la longevità istituzionale dei sui rettori fissando a sei anni il tetto massimo di permanenza al vertice. Ci sarebbe stata una strage: 33 università, come ha calcolato Fabio Sottocornola del Mondo,
avrebbero perso il proprio numero uno. Ma poi il governo è caduto e l'intenzione ministeriale è rimasta tale. «Mussi si è mosso troppo tardi», afferma Francesco Merloni, docente di diritto amministrativo a Perugia. «E se era contrario, perché allora ha sempre vidimato le modifiche statutarie ogni qualvolta veniva interpellato?».
Il docente perugino ha dato vita ad una rete universitaria, la «Sveglia», che punta ad arginare lo strapotere conferito a chi governa gli atenei: «Con l'autonomia ormai decidono ogni cosa, anche dal punto di vista economico ». Fino ad oggi il docente perugino è riuscito a coinvolgere una ventina di colleghi di dieci diverse sedi universitarie. Il prossimo passo sarà indire un'assemblea per cominciare a discutere sul ruolo dei rettori italiani: «Dicono di lavorare per il bene di studenti e docenti, ma poi si affannano per gestire piccoli pezzi di potere. Stanno trasformando l'università in una macchietta».
A.Cas.