Corriere del Veneto: I ricercatori contro il governo «Così si annulla una generazione»
Università, manifestazioni di protesta a Venezia, Padova e Verona Il rettore Zaccaria ai parlamentari: «Questo decreto va ritirato»
PADOVA - A Verona hanno occupato le scale del rettorato, fino allo studio del Magnifico Alessandro Mazzucco. A Venezia, invece, si sono riuniti con megafoni e striscioni nel cortile di Ca’ Foscari. A Padova, infine, hanno consegnato simbolicamente decine di biciclette al rettore Giuseppe Zaccaria, «perché siamo stanchi di pedalare». Sono le migliaia di ricercatori delle università del Veneto, che ieri mattina hanno detto no al decreto Gelmini. No, cioè, alla riforma che farà sparire la figura del ricercatore a tempo indeterminato (ci sarà solo quello a tempo determinato, per un massimo di 6 anni) e che, sempre per i ricercatori, alzerà da 2 a 3 anni l’asticella degli scatti di stipendio.
In Veneto i ricercatori costituiscono una parte consistente degli atenei. A Padova quelli strutturati - cioè a tempo indeterminato - sono oltre 900; mentre i non strutturati - assegnisti, dottorandi, borsisti - superano quota 5200. A Verona, con diverse proporzioni, il trend è lo stesso: 364 gli strutturati, 1219 gli altri; a Venezia 181 i primi, 231 i secondi.
Attualmente per diventare ricercatore occorre superare un concorso e poi attendere tre anni per la conferma. Il primo stipendio? Milleduecento euro. E per arrivare a portare a casa 1900-2000 euro ci vogliono anni. Per molti, tuttavia, il problema non è neanche quello economico. «Gli stipendi sono dignitosi, il vero problema del ddl Gelmini è che di fatto bloccherà del tutto il turn over - ha raccontato a Ca’ Foscari la ricercatrice di fisica Romana Frattini -. I ricercatori non riusciranno mai più a diventare professori associati. Così gli aspetti gravi sono due: da un lato le attuali graduatorie dovranno andare a esaurimento (in pratica chi andrà in pensione non verrà sostituito) e dall’altro verrà istituita una nuova figura di ricercatore a tempo, con un margine massimo di sei anni per diventare professore associato». Una dead line di sei anni, insomma, oltre la quale i ricercatori saranno «o dentro o fuori», che darà il via a lotte intestine per accalappiarsi il posto, tra i ricercatori «riformati» e quelli vecchio stile.
A Padova, la truppa dei ricercatori, che si è piazzata numerosa davanti al Bo, ha ricevuto l’appoggio del rettore Giuseppe Zaccaria. Al quale, tra l’altro, sono state consegnate simbolicamente delle biciclette («perché siamo stufi di pedalare», hanno detto al Magnifico i ricercatori). Il professore ha raccolto e condiviso la loro preoccupazione: «Siamo di fronte a una partita assai difficile - ha detto il rettore dell’Università di Padova, che è sceso per strada insieme ai ricercatori e ha improvvisato una sorta di comizio -. Qui c’è in ballo un’intera generazione da salvare». E Zaccaria si è speso in proprio. «Assicuro che cercherò di sensibilizzare i parlamentari locali - ha detto il rettore -, affinché si spendano con il ministro Gelmini per ritirare questo decreto».
Anche a Verona non ci sono stati sconti nella protesta contro la riforma. Tanto che i ricercatori di cinque facoltà (Lettere e Filosofia, Lingue, Scienze della formazione, Scienze matematiche ed Economia) hanno minacciato di revocare la propria disponibilità a svolgere attività didattica a partire dal prossimo anno accademico. «Circa il 40 per cento dei corsi - hanno fatto sapere - è tenuto da ricercatori. Senza di noi si blocca tutto». La richiesta è quella di cancellare completamente la riforma Gelmini. «Questa riforma - ha affermato Sonia Giorietto della Flc Cgil di Verona - snatura completamente gli Atenei. Da un lato infatti prevede accorpamenti, dall’altro vuole trasformarli in fondazioni. Inoltre cancella l’autonomia universitaria perché ogni decisione, compreso il nome dei docenti e i corsi di laurea da attivare, dovrà essere approvata dai ministeri dell’Economia e dell’Istruzione».