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Corriere: Da Bologna a Torino, i Tar salvano i prof dalla pensione

Università Accolti i ricorsi dei docenti che dovrebbero lasciare a 70 anni. La Consulta deciderà sulla legittimità della riforma

25/05/2009
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Corriere della sera

DAL NOSTRO INVIATO

BOLOGNA — Baroni con l’elmetto. Aggrappati alla cat­tedra. Decisi a non farsi «rot­tamare ». Un esercito in cresci­ta quello dei professori uni­versitari over 70, gente dal no­me e dall’albo d’oro spesso al­tisonanti, che ricorrono e la spuntano di fronte ai Tar di mezza Italia contro la decisio­ne di molti Senati accademici di avvalersi della facoltà, con­cessa dalla legge 133 del 2008, di non concedere quel­la sorta di bonus al pensiona­mento che finora aveva con­sentito agli ordinari di mante­nere il posto anche oltre i 70 anni: per un paio di anni, a volte di più.

L’ultima cartolina di una crociata che sta disseminan­do di ricorsi l’Italia accademi­ca arriva da Bologna, dalla più antica università del mon­do, l’Alma Mater. Una decina di professori ha ottenuto dal Tar emiliano-romagnolo la sospensione della delibera con la quale il Senato accade­mico aveva stabilito il loro pensionamento a partire dal primo novembre prossimo. A detta dei giudici amministra­tivi, l’Ateneo avrebbe dovuto valutare «le specifiche caratte­ristiche » dei singoli docenti, valutando meriti e titoli scien­tifici. Una lettura che non tro­va d’accordo il rettore dell’Al­ma Mater, Pier Ugo Calzolari (rettore in scadenza, oggi si vota): «La mia impressione è che la legge dica il contrario. E cioè: prima si decide se con­cedere o no la deroga dei 2 an­ni.

E solo nel caso la si dia, vanno esaminati i profili dei singoli. Ma il nostro Senato ha deciso all’unanimità di non dare alcun bonus».

Il problema è destinato a montare. Tra i 3 mila docenti dell’Alma Mater, i «pensio­nandi » sono circa 370 ed è ipotizzabile che, alla luce del­la decisione del Tar, saranno in molti a bussare alla porta dei giudici per garantirsi una «proroga» di stipendio e cat­tedra. Sarebbe una botta mor­tale per i bilanci, già agoniz­zanti, dell’Ateneo. Dice Calzo­lari: «La decisione di non con­cedere deroghe nasce, oltre che da motivi di ricambio ge­nerazionale (in nessun Paese al mondo i professori vanno in pensione a 70 anni), da questioni di spesa: a fronte di tagli governativi per 40 milio­ni, i pensionamenti ci consen­tono risparmi di 14 milioni per il 2010 e 31 per l’anno suc­cessivo ». Che, spalmati sul­l’intero universo accademico italiano, equivarrebbe a un contenimento di spesa tra i 600 e gli 800 milioni, per la gioia di Tremonti.

Il guaio è che la sentenza di Bologna è solo l’ultima di una serie. A Torino, al grido «non ci faremo rottamare», sono stati ripescati alcuni pro­fessori over 70 dal curri­culum robusto (l’ingegnere Roberto Pomè, i giuristi Mari­no Bin e Sergio Chiarloni, il sociologo Guido Sertorio). A Bari sono una ventina i docen­ti che si sono rivolti al Tar. E alla Statale di Milano aumen­ta il numero dei ricorsi accol­ti. L’ultima parola la dirà la Consulta, alla quale alcuni Tar hanno chiesto un pronun­ciamento di legittimità costi­tuzionale. Ma oltre che sui pensionati, l’austerity univer­sitaria utilizza un’altra leva: il taglio dei corsi di laurea.

L’obiettivo è ridurli del 20% entro il 2010, nella con­vinzione che molti dei 5.879 corsi esistenti fino a due anni fa fossero in eccesso rispetto alle esigenze del mercato. E al­lora, sforbiciate alla Cattolica di Milano, alla Sapienza di Ro­ma, a Siena, Pisa e Firenze, a Palermo. Pure a Genova han­no soppresso corsi. Ma non perché fossero inutili: manca­no semplicemente i docenti.

Francesco Alberti


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