Corriere: Bologna, via libera dei pm al 10 politico ai bambini
Scuola Chiesta l’archiviazione dopo la denuncia di un parlamentare del Pdl. Le 27 maestre contrarie alle nuove pagelle. «Il reato non c’è»
Caduti gli estremi per l’abuso d’ufficio, ma resta il procedimento amministrativo per un’azione disciplinare
BOLOGNA – Dare 10 a tutti gli alunni e in tutte le materie non è reato. Ne è convinta la Procura della Repubblica di Bologna nell’inchiesta aperta sulla clamorosa forma di protesta dei maestri della scuola elementare «Longhena», quartiere Colli del capoluogo emiliano. Una protesta contro la norma introdotta dalla Riforma Gelmini, che ha riportato il voto numerico nelle pagelle, scattata in occasione della chiusura del primo quadrimestre, lo scorso 11 febbraio. Creando una mole di polemiche, non solo a Bologna.
Il procuratore reggente Silverio Piro e il sostituto Luigi Persico hanno deciso di chiedere al giudice l’archiviazione del procedimento. A loro dire, nel comportamento dei maestri e delle maestre delle Longhena non sono ravvisabili profili penali. L’inchiesta era nata dall’esposto del parlamentare bolognese del PdL, Fabio Garagnani. Mentre il mondo politico si infiammava, i pm aprirono un procedimento senza indagati, ipotizzando l’abuso d’ufficio. «Non è eticamente corretto rifiutarsi di informare le famiglie soltanto perché non si condivide la politica del governo» protestò a sua volta il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, definendo «grave» il fatto di Bologna.
I maestri delle Longhena, che hanno avuto come «portavoce » Marzia Mascagni, che fu anche responsabile Scuola per il Prc, hanno sempre negato che fosse «politica» la loro protesta. Il collegio dei docenti aveva deciso all’unanimità, trovando nei genitori degli alunni pressoché totale sostegno, di dichiararsi contrario alla reintroduzione dei voti. Molti di loro non li avevano mai dati e potevano dunque trovarsi in difficoltà nel decidere se un bimbo fosse da cinque piuttosto che da otto. Non erano infatti stati ancora emanati i criteri per un’uniforme applicazione. Dunque avrebbero proceduto scrivendo i giudizi. Nel giorno degli scrutini arrivò invece un ordine di servizio che obbligava ad esprimere i voti in decimi. Pur di non disattendere la circolare e per non incorrere in sanzioni, i maestri di 13 classi su 15 diedero 10 a tutti, in tutto, affidando la valutazione vera e propria ai contestuali vecchi giudizi. Un voto che nel dibattito generale comunque diventò un «10 politico». «Ogni bambino — spiegò Mascagni – ha fatto progressi e ha raggiunto degli obiettivi». Ecco il perché di un 10 che, comunque, sarebbe stato dato solo in occasione del primo quadrimestre, a causa del pochissimo tempo a disposizione per valutare diversamente. «Volevamo solo essere seri. Preferivamo fare un anno di sperimentazione e di studio, per poter fare tabelle con voti dati in maniera consapevole» è il ragionamento della Mascagni.
Secondo gli inquirenti, in questa logica, in questo comportamento non ci sono gli estremi dell’abuso d’ufficio, perché i maestri non hanno procurato un «ingiusto vantaggio patrimoniale» per sé o un «ingiusto danno» ad altri. Innocenti, dunque. Penalmente, è ovvio. Resta in piedi il procedimento amministrativo, aperto con la contestazione di addebito a 27 su 36 maestri, primo atto di un procedimento disciplinare. A difesa dei maestri del «10 per tutti», a parte un gran numero di colleghi di tutta Italia, si è schierata pressoché tutta la sinistra. Contro, i partiti di governo e l’Udc, che contestano in primo luogo «la mancanza di rispetto per le regole a chi dovrebbe insegnarle ». Un giudizio, dunque, negativo almeno come un 5.
Giampiero Moscato