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Bologna: lo Statuto dell'Ateneo e le ragioni del referendum

Il significato della simulazione referendaria realizzata dall´Intersindacale universitaria di Bologna alla fine del mese di giugno per esprimere un parere sulla bozza del nuovo statuto dell´ateneo che per legge deve essere approvato entro il mese di luglio

13/07/2011
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la Repubblica

di Nadia Urbinato

SI POTREBBE pensare che una volta reso il suffragio universale un diritto la storia della democrazia sia in qualche modo conclusa. Ma così non è poiché alla domanda "chi" vota, ci ha ricordato Norberto Bobbio trent´anni fa, il cittadino democratico fa seguire un´altra domanda: "dove" si vota. La democrazia non sopporta steccati e tende a espandersi oltre l´ambito politico nella quale é nata. I cittadini sono legittimati ad attendersi che in tutti gli ambiti nei quali la loro vita sociale si svolge (o come lavoratori o come fruitori di un servizio) siano coinvolti in qualche modo nelle scelte affinché il bene generale sia meglio garantito e i governati indotti a operare in maniera trasparente. I cittadini dono legittimati a volere che ci siano regole che prevedano monitoraggio e controllo, ma anche consultazione ovvero attenzione alle opinioni di chi pur non governando direttamente ha comunque una responsabilità diretta nel buon funzionamento del servizio. La democrazia non si riconosce nella logica dispotica dei consigli di amministrazione tanto é vero che perfino nelle società per azioni gli azionisti chiedono di essere informati e consultati su come le loro risorse vengono impiegate. La richiesta è legittima poiché di quelle decisioni essi subiscono le conseguenze in maniera piuttosto diretta.
Questa premessa ci aiuta a interpretare il significato della simulazione referendaria realizzata dall´Intersindacale universitaria di Bologna alla fine del mese di giugno per esprimere un parere sulla bozza del nuovo statuto dell´ateneo che per legge deve essere approvato entro il mese di luglio. L´iniziativa del referendum é benemerita. E´ un esempio estremamente interessante di come il governo della cosa pubblica possa essere realizzato non contro o senza ma in accordo con chi opera nella struttura (in questo caso l´università).Un referendum a cui hanno partecipato 2299 tra docenti, ricercatori e personale tecnico-amministtrativo e che con larghissima maggioranza ha bocciato la bozza del nuovo statuto su quattro temi che hanno a che fare con la forma del governo dell´università. Quattro i quesiti che hanno raccolto consenso plebiscitario: eleggibilità del Consiglio d´Amministrazione, eleggibilità dei direttori dei dipartimenti, eleggibilità dei presidenti di corso di laurea e la possibilità da parte del Senato accademico di sfiduciare il Consiglio d´Amministrazione. In tutti questi casi é stata bocciata la nomina da parte del rettore a favore dell´elezione. E´ stata bocciata la logica della riforma targata Gelmini al cui centro vi è la trasformazione aziendalistica delle università, una trasformazione che, come è avvenuto in altri ambiti, ha molte possibilità di non essere portatrice di buon governo ma al contrario di favorire pratiche che proprio perché non fondate sull´accountability sono più facilmente esposte alla corruttela o quanto meno all´inefficienza.
Per il prestigio che gode l´ateneo bolognese, il dialogo tra Rettore e "cittadini" dell´università che questo referendum é auspicabile che inauguri sarebbe un evento di grande importanza nazionale. Un modello per altre università e una risposta davvero alternativa e positiva alla politica della Gelmini. Del resto, il Rettore dell´Ateneo bolognese ha dimostrato di non voler ignorare la voce dei votanti e ha convenuto che sia necessario eleggere e non nominare i direttori, i presidenti di facoltà e i coordinatori di campus. Un fatto che dimostra che la realizzazione della democrazia rappresentativa negli organi di governo dell´università é possibile. E poi che é strategicamente sbagliato seguire la strada segnata dal Ministro, quella che ha scelto di dialogare solo con i rettori, istituendo uno spirito di corpo dirigenziale che é malsano non solo perché anti-democratico, ma anche perché potenzialmente foriero di conflitti invece che di cooperazione, di instabilità invece che di stabilità. In un tempo di forte crisi, é certo una buona politica quella lungimirante e saggia abbastanza da abbandonare questa strategia. E il referendum che si é svolto potrebbe essere un appiglio importante per gli organi dirigenti dell´università bolognese per rilanciare la democrazia come miglior politica, perché generatrice di consenso e di armonia. Che la democrazia faccia bene alla pace non vale solo per i rapporti internazionali.
Infine, e non meno importante, le tecnologie informatiche di comunicazione rendono un grande servizio alla consultazione; soprattutto rispondono all´esigenza di cooperazione cognitiva che è sempre più cruciale per le moderne e complesse amministrazioni. E i processi decisionali che riescono a dialogare con la struttura in tutte le sue maglie sono certamente piú efficaci. E sarebbe un´enorme contraddizione se proprio l´Università, luogo dove hanno visto la luce le teorie della democrazia deliberativa, si chiuda alla scienza che essa produce e persegua in una strada che é oltre che non democratica, arretrata e inefficiente, indegna della sua vocazione e del suo ruolo.


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