Adro, condannato il sindaco che firmò la scuola con il Sole delle Alpi
Oscar Lancini condannato a 3 anni per truffa e turbativa d’asta per la nuova area feste del Comune. Era salito agli onori delle cronache per aver griffato la scuola con i simboli.
di Lilina Golia e Redazione Online
Tre anni di carcere e interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. Questa la sentenza che la prima sezione penale del Tribunale di Brescia ha emesso nei confronti dell’ex sindaco e oggi vicesindaco di Adro, Oscar Lancini, tessera Lega Nord. L’ex primo cittadino franciacortino, salito agli onori delle cronache per la «caccia ai clandestini» e per aver griffato banchi e cestini della nuova scuola del paese con il Sole delle Alpi (simboli poi rimossi dopo il ricorso vinto dalla Cgil) è stato ritenuto responsabile di truffa e turbativa d’asta nell’inchiesta sulla manipolazione degli appalti per la realizzazione dell’area delle feste di Adro. Nel 2013, all’epoca dei fatti, era finito agli arresti domiciliari. Tre anni di carcere e interdizione dai pubblici uffici per 5 anni anche per l’allora responsabile dell’area tecnica del Comune di Adro, Leonardo Rossi.
La vicenda
L’accusa aveva chiesto cinque anni. La vicenda in questione esplose l’8 novembre del 2013, quando l’allora sindaco di Adro, su ordinanza di custodia cautelare, finì agli arresti domiciliari insieme ad altre cinque persone: Giovanna Frusca, assessore ai Lavori Pubblici di Adro, Leonardo Rossi responsabile dell’area tecnica, Carmelo Bagalà, segretario comunale, e gli imprenditori edili Alessandro Cadei ed Emanuele Casali. Ci rimase per tre settimane (per una questione formale) perdendo quasi dieci chili per lo sciopero della fame. L’accusa: appalti «truccati». In sostanza, anziché versare centinaia di migliaia di euro di oneri di urbanizzazione nelle casse comunali, alcuni costruttori avrebbero offerto regali «in natura» (materiali, attrezzature, arredi) per realizzare la così detta Area Feste di Adro. E per oltre un milione duecentomila euro. Niente gare pubbliche. Perché «a favorirli» ci avrebbe pensato - per gli inquirenti - Oscar Lancini, che in modo sistematico avrebbe incaricato di quei lavori qualche «impresa amica». In cambio Lancini non avrebbe ottenuto alcun vantaggio personale, solo «consenso elettorale». Per l’accusa, Lancini era il «regista delle diverse operazioni collusive con gli aggiudicatari dei lavori pubblici», giustificati con una serie di delibere fittizie ex post, o l’«urgenza» degli interventi.