Conoscenzanews ed. scuola
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Anno II n. 38 del 7 giugno 2006
   
Sommario
   
 
Speciale
Referendum costituzionale
 
Il 25 e 26 giugno
VOTA NO
 

Perché andare a votare

Nei giorni 25 e 26 giugno è convocato il referendum costituzionale nel quale si chiede ai cittadini italiani se intendano o meno confermare la “riforma” della Costituzione varata dal centro-destra.

E’ l’unico caso, il pronunciamento su modifiche della carta fondamentale, in cui il nostro ordinamento prevede il referendum confermativo. In tutti gli altri casi, come si sa, è solo abrogativo.

Il referendum in questo caso non ha bisogno di un quorum di votanti per essere valido. Il voto della maggioranza di chi andrà a votare deciderà se confermare o meno questa legge. Astenersi non ha perciò alcun valore.

Per che cosa siamo chiamati a votare? Sono stati modificati dal Governo Berlusconi ben 53 articoli della seconda parte della Costituzione.

Essi riguardano: la forma di governo, i poteri del presidente della repubblica, il bicameralismo, l'assetto della corte costituzionale, il federalismo fiscale, la cosiddetta devolution.

Non si tratta di un ritocco, ma di un intero disegno costituzionale approvato dalla sola maggioranza che si pone in contrasto con i principi del costituzionalismo moderno. Riguarda la seconda parte della Costituzione ma ha pesanti ricadute sulla prima, cioè sui valori fondanti della Repubblica.

E’ un atto responsabile andare tutti a votare e votare NO, perché non può essere che un governo si faccia una Costituzione su misura. In democrazia le Costituzioni si cambiano, ma nel dialogo costruttivo tra tutte le forze politiche e sociali e, soprattutto salvaguardando il corpus di valori e diritti della nostra repubblica.

Per informazioni: www.salviamolacostituzione.it

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Perché votare NO

E’ importante conoscere i contenuti della riforma costituzionale, perché conoscerli indurrà anche gli “indifferenti” a partecipare al voto.

Contrariamente a quanto affermano i suoi sostenitori quella riforma mina alle radici il nostro sistema democratico, non solo per la cosiddetta devolution ma anche per l’eccesso di potere attribuito al “premier”, che diventerebbe arbitro assoluto dell’intera legislatura.

Vediamo alcune delle ragioni del NO.

1. Su 139 articoli, la riforma ne modifica 53. La Costituzione prevede la possibilità di essere cambiata, ma i costituenti avevano previsto cambiamenti di singoli punti, non di parti consistenti di essa. Così al referendum bisogna accettare o respingere un intero disegno costituzionale. E’ un metodo assurdo, che si trasforma nei fatti in un plebiscito sulla legge fondamentale.

2. Questa legge contrasta con i principi del costituzionalismo moderno e con l’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, laddove si sancisce il principio della separazione dei poteri. Al contrario, essa li concentra nelle mani di una sola persona, il primo ministro, con un enorme potere di ricatto nei confronti del Parlamento, che deve “conformarsi” (così si dice nella modifica) alla richiesta di fiducia del primo ministro su un testo di legge. Anche il potere di emendamento è umiliato.

3. La prevista “sfiducia costruttiva” è un bluff: hanno diritto a votare la sfiducia solo i deputati della maggioranza che fa riferimento al presidente del consiglio in carica. Ma per sfiduciare non basta la metà più uno di quelli che votano, ma la metà più uno di tutti i componenti della Camera, quindi anche quelli che non votano. Una fattispecie impossibile da verificarsi.

4. Il Presidente della Repubblica non è più il garante della Costituzione perché non ha poteri né prerogative. Noi saremo liberi solo nel giorno in cui andiamo a votare, per dare una delega in bianco al vincitore che, con la scusa di realizzare la volontà popolare, è blindato per 5 anni, qualunque cosa faccia. Con più potere dello stesso Presidente degli Stati Uniti.

5. La prima e la seconda parte della nostra Costituzione sono strettamente correlate e questa riforma mette a rischio tutto il sistema dei diritti, compresi quelli sindacali e di sciopero, garantito nella prima parte.

6. Con la devolution, alle Regioni viene attribuita la competenza esclusiva su scuola, sanità e polizia locale. “La salute è interesse della collettività” recita l’art. 32 della Costituzione, non è "solo" un diritto quindi, ma ha rilevanza collettiva, pubblica e non può essere spezzettato in 20 sistemi regionali, perché così si sanciscono le differenze tra regioni ricche e regioni povere.

7. Per la scuola si pone un serio problema di differenziazione dei sistemi che pregiudica gravemente la tenuta nazionale del sistema d’istruzione del nostro Paese. E’ a rischio l’educazione a valori condivisi, e quindi il mantenimento dell’attuale assetto del Paese, nonché l’idea di una formazione culturale unitaria, in cui tutti si riconoscono. La stessa spendibilità dei titoli di studio rilasciati da sistemi regionali differenti potrà avere pesanti ricadute sia sulla mobilità delle persone che sul mercato del lavoro e sul diritto al lavoro, così come sono a rischio i diritti del lavoratore, tutelati meglio sindacalmente sul piano nazionale che non sul solo livello regionale.

Inoltre, per via della farraginosità delle norme sull’istruzione e della molteplicità delle fonti normative (l’istruzione diventerebbe materia sia di competenza legislativa esclusiva dello stato, sia di competenza concorrente stato regioni, che di competenza esclusiva delle regioni) è facile prevedere una continua conflittualità tra istituzioni, ognuna che rivendica la sua competenza, con un’invasione di ricorsi alla Corte Costituzionale. In tal modo si rischia di produrre una vera e propria paralisi per un’istituzione, la scuola, che ha invece bisogno di tempi distesi e di serenità, per realizzare il delicato compito che la Costituzione, nella sua prima parte, le affida.

Insomma le garanzie dovrebbero essere rafforzate e invece sono indebolite.

Grande rilievo assume, quindi, il ruolo della scuola e dell’Università nell’informazione su ciò che è in gioco con il referendum: bisogna conoscere la Costituzione ed i suoi valori, per difenderli e rilanciarli, sapendo che non si tratta di una legge qualunque, ma della carta fondamentale che detta le regole su cui è costruita la nostra democrazia. Occorre garantire un’educazione alla cittadinanza, senza la quale si finisce per essere educati alla sudditanza.

Per approfondire le ragioni del NO.

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Il doppio impegno della FLC Cgil

“Una grande partecipazione al voto referendario a segnalare che la difesa e il rilancio dei valori e dei contenuti della Costituzione nata dalla Resistenza sono interesse di tutti e patrimonio che i cittadini di questo paese non sono disposti a mettere in liquidazione”. Si concludeva così l’ordine del giorno sul referendum votato all’unanimità dal 1° Congresso della FLC Cgil.

La FLC si è sempre sentita doppiamente impegnata in questa campagna contro lo stravolgimento della Costituzione, come organizzazione sindacale attenta alla tutela del lavoro e dei diritti e come espressione di settori educativi e culturali ai quali la Costituzione affida compiti altissimi. Il diritto allo studio. la libertà di ricerca e la libertà di insegnamento rischiano di venire soffocati dal pasticcio istituzionale e da conflitti di competenze.

Anche per questi motivi il Comitato direttivo nazionale della FLC invitando tutti i lavoratori della conoscenza a partecipare al voto e votare NO ha richiamato “la responsabilità collettiva e politica del nostro sindacato per difendere e tutelare, anche in questa occasione, i diritti costituzionali delle lavoratrici, dei lavoratori e di tutti i cittadini”.

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L’impegno dei sindacati confederali. L’appello di Epifani

Le modifiche alla seconda parte della Costituzione per la loro vastità intaccano anche la parte relativa ai diritti e doveri, indebolendo fortemente i principi di uguaglianza e solidarietà, la coesione nazionale e l’equilibrio dei poteri e soprattutto il valore e la dignità del lavoro. Per questo Cgil, Cisl e Uil hanno dichiarato apertamente che voteranno e faranno votare NO.
La Cgil, in particolare, è stata in prima fila nella raccolta delle firme per la convocazione del referendum, mettendo a disposizione tutta la sua forza organizzativa. Una convinta difesa della Costituzione ben spiegata anche al 15° congresso e in tantissime iniziative e manifestazioni.

Dopo 60 anni la nostra Costituzione è più moderna che mai -scrive Epifani nel suo appello al voto- “soprattutto in quell’articolo 1 a noi tanto caro, perché richiama il contributo fondamentale che i lavoratori hanno dato alla riconquista della libertà e alla liberazione dalla dittatura nazifascista”.

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