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Le donne e le libertà fittizie

Una riflessione per l'8 marzo.

07/03/2010
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La situazione familiare, sociale, lavorativa delle donne è disastrosa. Influenzata e peggiorata dal modello di donna proposto dai mass media. È la consumatrice per eccellenza e, a sua volta, consumata. Anche l'8 marzo è diventato una bella festa consumista come S. Valentino e la festa della mamma.

Pubblichiamo di seguito un articolo che uscirà tra qualche giorno sulla rivista "Articolo 33".

Roma, 8 marzo 2010
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Le donne e le libertà fittizie di Anna Maria Villari e Loredana Fasciolo

Aboliamo l'8 marzo come giornata celebrativa internazionale della donna. Nessuno sa più le ragioni di una tale celebrazione, in compenso va in scena il rituale francamente lezioso (se non peggio) dell'offerta di mimosa (i cui prezzi sono alle stelle) alle signore nei luoghi di lavoro e nei ristoranti. Per un giorno noi donne normali, con le rughe e un po' pingui, riceviamo gli sguardi bonari degli uomini e magari qualche piccola cortesia: il marito che lava i piatti, il collega che ti libera da un'incombenza e, dulcis in fundo, l'ora d'aria serale per una pizza con le amiche, sì, per una volta tutte donne. Anche giornali e televisioni si daranno da fare per mostrarci la vita dura delle donne africane, mentre molti politici ci faranno l'occhietto raccontandoci il loro impegno a nostro favore e come in occidente stiamo tanto meglio che nei paesi islamici.

Poi si torna nell'oblio e delle donne si ricomincia a parlare a margine degli scandali nazionali, quando appaiono come merce di scambio per un appalto.

Rigorosamente under 40

Eppure le donne sono dovunque, in mostra sui muri delle nostre città mentre ci offrono generosamente parti del loro corpo per pubblicizzare una banca, oppure negli studi televisivi dove fanno da corollario muto e svestito a un conduttore in giacca e cravatta oppure conducono in abito da sera, rigorosamente succinto, trasmissioni pomeridiane di intrattenimento... Ma non è solo questo. Di donne si parla anche in inutili e ripetitivi servizi televisivi (specialmente i telegiornali) su quanto spendono per la palestra e per il lifting, come si comportano di fronte ai saldi in periodi di crisi... E a proposito di lifting, né in tv e neppure dalle pagine patinate delle riviste (una volta si chiamavano "femminili") appaiono donne di età superiore ai 40 anni, anagrafici o procurati. Roba da far impallidire Dorian Gray. Le altre non esistono. O meglio esistono, ma non fanno audience.

Queste sono le donne offerte al pubblico. Merce frivola esibita un tanto al chilo, orpelli, da buttare se diventano fastidiosi, se invecchiano o se pretendono più di quanto viene loro graziosamente concesso. Se protestano, se non ci stanno, se rispondono ai canoni vengono esposte alla pubblica ripugnanza, all'umorismo da caserma, alla scandalizzata onorabilità di chi poco prima le ha usate.

Le ragazze fino agli anni '60 cercavano il "principe azzurro" o un "buon partito", ricco sì ma anche giovane e bello come loro, adesso escort, veline, massaggiatrici, pupe pronte a tutto sono a caccia del politico attempato (sono tutti attempati), o dell'imprenditore, basta che sia ricco e abbia potere e che possa, in cambio di servizi sessuali, apportare qualche vantaggio. Allora ragazze - questo il messaggio strabordante - siete sedute sulla vostra fortuna, sappiatela utilizzare, e se proprio dovete pensare a qualcosa, pensate al vostro corpo, a renderlo una vera e propria macchina da guerra, che, alle brutte, un posto in parlamento o in un consiglio provinciale o in una trasmissione televisiva si può sempre rimediare, visto che per vie "normali" è impossibile raggiungerlo.

Le donne lavoratrici

Viviamo in un mondo costruito contro le donne, che è sempre di più contro le donne. Il lavoro, le città, l'organizzazione della vita quotidiana non c'entra nulla con la vita vera delle donne. E a parte il diritto di esporre il corpo a proprio e altrui piacimento, di altri diritti od opportunità ce ne sono ben pochi.

Le donne che fanno figli sono considerate un costo e vengono penalizzate. Provate a chiedere al ministro Brunetta cosa pensa di una dipendente pubblica che prende una aspettativa (senza assegni, ma mantenendo il posto) per badare al suo bambino, visto che di asili nido ce n'è ben pochi. Vi risponderà che è assenteista. L'alternativa che piace al ministro è che prenda una baby sitter a tempo pieno a cui lasciare il suo intero stipendio (o qualcosa in più), o, ancora meglio, che lasci definitivamente il lavoro e se ne rimanga a casa. La donna che lavora è assenteista. Deve fare la spesa, cucinare, badare alla casa, ai figli, agli anziani... sostituire quel welfare state ormai troppo caro per un paese di evasori fiscali, ma sul lavoro ha troppi diritti. Se si ammala il figlio e si assenta deve essere punita con il taglio dello stipendio, così Brunetta fa funzionare la pubblica amministrazione e Tremonti fa un bel risparmio, sullo stipendio e sui servizi sociali.

Ci sono delle coppie che pensano addirittura di separarsi, così hanno speranza di avere un posto al nido (la madre separata sale in graduatoria).

La famiglia è uno dei problemi, ma sul lavoro la donna è comunque discriminata anche se non ce l'ha una famiglia, perché la sua natura potrebbe spingerla a desiderarla. E qui stiamo parlando di quelle fortunate che il lavoro ce l'hanno. I milioni di precari che prospettive hanno di costruirsi una famiglia, se non hanno possibilità di programmare la propria stessa vita?

Ancora oggi le donne sono, insieme ai giovani, la quota più alta dei disoccupati, anche se sono quelle che studiano di più e meglio. Dove sono le politiche per le pari opportunità?

Regressione in corso

Fino alla prima metà del Novecento le donne erano costrette a sposarsi e badare alla famiglia. Poi hanno voluto conquistare autonomia e libertà, decidere della propria vita e per un periodo sono riuscite a imporsi e cambiare il mondo, mentalità e comportamenti. Ma cosa succede adesso, a soli 30-40 anni da quel periodo? Le leggi che riguardano le donne, i loro diritti, sono state conquistate ma c'è uno scollamento tra questa legislazione avanzata e il paese reale.

Le loro libertà si sono rivelate fittizie: possono uscire da sole di notte e vestirsi come desiderano, ma vengono insultate e violentate; possono lavorare, ma il loro stipendio è inferiore a quello degli uomini e non fanno carriera; possono decidere di separarsi dal marito, ma non sanno poi come sopravvivere; possono lavorare in Tv, ma si devono spogliare. La donna continua a essere tenuta in uno stato di soggezione, di dipendenza economica, di insicurezza, mentre è bombardata - attraverso la pubblicità e i mass media - da modelli di perfezione a cui si deve uniformare.

Il problema va inquadrato all'interno di una società dove la produzione, la vendita e il consumo sono i suoi soli scopi, dove c'è la possibilità di comprare tutto, anche le persone, col denaro e il potere (che è detenuto quasi esclusivamente dagli uomini), dove persiste una mentalità che accetta che l'erotismo sia legato solo alla rappresentazione del corpo femminile. La violenza dell'uomo sulla donna è atavica, inconscia.

Gli uomini, negli anni passati, pur sollecitati dal femminismo, non hanno fatto nessun lavoro su se stessi e hanno avuto la meglio: tutto è tornato come prima. L'unica differenza è che gli uomini possono ora disporre più ampiamente delle donne perché esse sono "più libere" da un punto di vista sessuale. Quello su cui, però, bisogna riflettere - prima che sia troppo tardi - è che dal rapporto tra i sessi, così ambiguo, così ingiusto nascono tutti i conflitti sociali e i razzismi.

Oggi, in piena regressione su tutta la linea siamo cadute ben oltre gli anni Cinquanta, siamo al basso impero e il messaggio diffuso a 360° è che se sei bella e spregiudicata hai lo 0,1% di fare la "bella vita".

E allora aboliamo l'8 marzo, fino a quando non riprendiamo coscienza di noi stesse e non abbiamo il coraggio di pretendere un mondo a nostra misura. Intendiamo a misura delle nostre esigenze e del nostro cervello.