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Depositata in Parlamento una proposta di legge per ridurre di un anno la scuola secondaria di II grado

Si propongono quattro anni per tutti gli indirizzi, mentre docenti, studenti e famiglie bocciano la sperimentazione e l’OCSE certifica l’esigenza di maggiore formazione. Una prima valutazione della FLC CGIL

16/09/2024
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Recentemente depositata alla Camera dei deputati, la proposta di legge n. 1739 prevede la durata quadriennale dei corsi di studio per tutti gli indirizzi dell’istruzione secondaria di secondo grado.

Essenziale il contenuto del disegno di legge che si compone di due soli articoli.

Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi, uno o più decreti legislativi di parziale riordino del secondo ciclo di istruzione, con l’obiettivo di garantire la “piena realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione, anticipare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e favorire una formazione adeguata alle esigenze del tessuto socioeconomico”. La nuova scuola secondaria di II grado, comunque articolata in licei, istituti tecnici e istituti professionali avrà durata quadriennale. Non si prevede una rimodulazione di obiettivi di apprendimento, competenze o dei contenuti delle discipline, ma una riduzione dei tempi attualmente previsti, da 5 a 4 anni, “eventualmente provvedendo all’adeguamento e alla rimodulazione del calendario scolastico annuale e dell’orario settimanale delle lezioni”, ricorrendo agli strumenti offerti dal Regolamento dell’autonomia (artt. 4 e 5 del DPR 275/99). Presente un richiamo all’educazione civica, alle tecnologie digitali, alle attività laboratoriali, alla metodologia Content and Language Integrated learning (CLIL) e alle discipline STEM. Si prevede che la riduzione a quattro anni non comporti esuberi. Non sono previsti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, eventualmente coperti da compensazioni interne al Ministero dell’Istruzione.

La valutazione della FLC CGIL

Il progetto non presenta alcuna riflessione educativa a monte, ma tradisce chiaramente quale sia la doppia finalità:

  1. tagliare in modo lineare il sistema pubblico dell’istruzione e le risorse destinate;
  2. spostare quanto prima i giovani verso l’offerta produttiva del Paese.

D’altro canto, la finalità dichiarata appare perfino contraddittoria: con una durata inferiore del percorso scolastico si propone di “garantire la piena realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione”. I recenti dati OCSE relativi all’occupazione nel nostro Paese (solo il 57% dei 25-34enni senza diploma di maturità trova lavoro, a fronte del 69% dei diplomati, mentre il 27% della popolazione fra i 25 e i 64 anni non diplomata guadagna la metà o meno del reddito medio) dimostrano senza alcun dubbio che studiare di più aiuta a trovare lavoro e a guadagnare meglio. 

Secondo il ddl n. 1739, la scuola secondaria di secondo grado dovrebbe assicurare in quattro anni l’insegnamento di tutte le discipline già previste dall’indirizzo di studi di riferimento e i livelli di competenze oggi fissati per i percorsi di cinque anni. Insomma, si passa da cinque a quattro anni e ogni scuola con l’utilizzo dell’autonomia dovrà provvedere al proprio adattamento curriculare: una vera e propria deregolamentazione dei percorsi nazionali di istruzione, un ulteriore attacco al valore legale del titolo di studio. La trasformazione dei percorsi quadriennali in un piano ordinamentale nazionale non può più consentire il ricorso ad adattamenti fai da te rispetto alla durata del calendario scolastico e della scansione del curriculo, ma dovrebbe determinare un riadattamento di quadri orari e profili in uscita, nonostante il testo della proposta di legge ammetta per il sistema di istruzione nazionale “l’elevata qualità degli insegnamenti, da sempre riconosciuta anche all’estero”.

In presenza di una riduzione di un quinto del tempo scuola, senza la predisposizione di specifici quadri orari articolati con attività didattica in compresenza, appare difficilmente credibile e comprensibile l’invarianza delle dotazioni organiche. Per le cattedre di sostegno, invece, sarà automatica la riduzione degli organici del 20% in relazione all’abbreviamento del percorso di studio dei singoli studenti.

A partire dalla tempistica della presentazione della proposta di legge, depositata alla Camera dei deputati il 26 febbraio 2024, appare evidente l’imposizione della durata quadriennale ordinamentale per tutti gli indirizzi, a fronte del fallimento della Filiera tecnologico-professionale, che si era appoggiata sulla sperimentazione quadriennale del D.M. 240/2023, cioè su un percorso fondato sulle adesioni scelte liberamente dalla comunità scolastica. Ricordiamo che il Ministro Valditara, nella giornata del 17 gennaio 2024, con toni trionfalistici ha comunicato l’adesione di soli 171 istituti tecnici e professionali per 193 corsi su tutto il territorio nazionale. Questa imposizione segna addirittura di un passo indietro rispetto al 4+2 lanciato con la proposta spot della Filiera, in cui si faceva credere ad un ampliamento della formazione a sei anni, che nasconde la effettiva riduzione del ciclo di studi secondario, oggi non più celata.

A partire dall’anno scolastico 2018/2019 sono stati avviati diversi tentativi di introduzione di percorsi quadriennali sperimentali. Il primo era destinato a 100 classi prime, ampliato ad altre 92 scuole (decreto 89 del 2 febbraio 2018). Delle 192 scuole coinvolte, composte da 127 scuole statali e da 65 paritarie, di cui 144 Licei e 48 istituti tecnici, sono state autorizzate 175 classi dall’anno scolastico successivo e i rinnovi si sono ridotti a 98 (dati MIM luglio 2023). Era, pertanto, già incomprensibile la scelta dell’allora ministro Bianchi di ampliare da 100 a 1000 scuole la sperimentazione dei quadriennali (dm 344/21) e i numeri di oggi rafforzano quella convinzione, visto che solo 243 scuole, sulle 1000 previste, hanno chiesto di sperimentare il modello del “diploma in 4 anni”. I dati forniti dallo stesso ministero, con la progressiva diminuzione delle conferme da 192 a 98, il fallimento del progetto Bianchi e i 171 istituti della filiera dimostrano che il diploma quadriennale rappresenta un’operazione non condivisibile per le scuole e le famiglie, oltre che per il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), che al netto di una condizionata apertura di credito nel 2017, ha ripetutamente bocciato i percorsi quadriennali (nel 2018, nel 2021 e nel 2023 ). Pertanto, appare assolutamente ingiustificata la definizione contenuta nell’introduzione alla proposta di legge n.1739 di una sperimentazione come “ottima pratica”. Si tratta evidentemente di una forzatura o, addirittura, di una imposizione d’autorità rispetto ad una idea di istruzione che la scuola ha già rifiutato con chiarezza.

Infine, è necessario sfatare il mito del divario fra il nostro Paese e il resto d’Europa in cui la maggior parte dei Paesi conclude i percorsi secondari a diciotto anni. Infatti, come ribadito nella premessa al disegno di legge, ciò come avviene solo “in metà dei Paesi dell’Unione europea (tredici su ventisette)”, molti dei quali non costituiscono modelli scolastici ai vertici del confronto, mentre bisogna rammentare che i dati OCSE confermano che i risultati migliori si conseguono lì dove si assicura un più lungo periodo di istruzione.

Secondo la FLC CGIL, il sistema d’istruzione nazionale ha il compito di formare i bambini e le bambine in futuri cittadini, seguendoli nel percorsi per diventare consapevoli e operare i cambiamenti che il progresso richiede, e non deve avere l’obiettivo di avviare in fretta i giovani verso il mondo del lavoro, anche in considerazione delle difficoltà che il mercato italiano presenta, ma deve, al contrario, fornire strumenti più approfonditi per affrontarlo, perché essi stessi diventino lavoratrici e lavoratori più competenti e, quindi, possa migliorare nel complesso anche il sistema Paese.

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