Università, per lo Stato migliaia di ricercatori restano invisibili. Diamogli voce
Esistono, nelle università di tutta Italia, migliaia di lavoratori completamente esclusi dal diritto di concorrere (mediante la contrattazione collettiva) alla determinazione delle proprie condizioni di lavoro: sono esclusi dall’elezione delle rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) e dall’applicazione dei contratti collettivi di lavoro.
Alessandro Cannavale
Esistono, nelle università di tutta Italia, migliaia di lavoratori completamente esclusi dal diritto di concorrere (mediante la contrattazione collettiva) alla determinazione delle proprie condizioni di lavoro: sono esclusi dall’elezione delle rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) e dall’applicazione dei contratti collettivi di lavoro.
Non stiamo parlando del combinato disposto “personalestrutturato”- ossia professori ordinari e associati e ricercatori a tempo indeterminato (in regime di diritto pubblico) – o personale tecnico-amministrativo e bibliotecario – assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato. No, affatto. Stiamo parlando proprio dell’anello più debole della catena: dottorandi di ricerca, assegnisti, borsisti, post doc e ricercatori a tempo determinato.
L’attuale assetto del mondo del lavoro mostra una drammatica discrepanza tra le condizioni di lavoro e le tutele riservate ai dipendenti soggetti a contratto collettivo nazionale o in regime di diritto pubblico e tutte le altre categorie escluse, appartenenti a quella che il sociologo Emanuele Ferragina chiama “la maggioranza invisibile” nel suo omonimo saggio.
Gli anni di crisi e le politiche di austerity e le nuove norme sul lavoro hanno accentuato i divari. La riforma Gelmini (legge n. 240/2010), dal canto suo, ha reso endemica la precarizzazionedei ricercatori eliminando la figura del ricercatore a tempo indeterminato, cruciale per le esigenze delle nostre università, carenti soprattutto in fase di turnover e in seria difficoltà (per mancanza di risorse) nel reclutamento di RTDb e professori associati.
Non essere in grado, oggi, di intercettare il disagio di migliaia di ricercatori esclusi da qualsiasi chance occupazionale si traduce inevitabilmente nei drammatici dati sull’emigrazione intellettuale: un vero dramma per il Paese e (principalmente) per il Mezzogiorno.
Occorre avviare una riflessione comune per immaginare percorsi nuovi e coraggiosi di inclusione e di necessaria estensione dei diritti sociali e di redistribuzione delle risorse, che passano attraverso la conquista del diritto alla contrattazione collettiva Si tratta insomma di percorrere la strada maestra della Costituzione, che all’articolo 3 prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge ma anche attribuisce allo Stato il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” e all’art. 39 stabilisce che l’organizzazione sindacale è libera.
Parrebbe tutto ovvio. Ma le norme di legge che regolano il rapporto dei ricercatori precari sembrano escluderli dalla contrattazione collettiva: il loro rapporto di lavoro è determinato autoritativamente mediante leggi e provvedimentiamministrativi, nonostante sia instaurato con la stipula di un contratto individuale di lavoro: è palese il contrasto con gli artt. 3 e 39 della Costituzione!
Con queste indiscutibili premesse – in qualità di ricercatore a tempo determinato – ho raccolto la proposta di candidatura alle elezioni Rsu (17-19 aprile) da parte di Giuseppe Garofalo (coordinatore della Flc Cgil del Politecnico di Bari). La mia candidatura, presentata insieme al collega ricercatore di post doc Giuseppe Coviello, è stata ritenuta (come era prevedibile) inammissibile da parte della Commissione elettorale.
L’iniziativa, infatti, punta a evidenziare questa enormità normativa e a superarla e si inserisce in un più ampio impegno per rilanciare l’università pubblica come bene comune, motore di crescita civile, sociale ed economica del Paese e non (al contrario) come laboratorio di sperimentazione della precarietà.
A 70 anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, ci sembra inverosimile pensare che migliaia di lavoratori vengano finanche esclusi sostanzialmente dal diritto alla tutela sindacale, che è la premessa e non il punto di arrivo per garantire l’uscita da questo stato di invisibilità istituzionale. Per questo la Flc Cgil si riserva di agire in giudizio per provocare la dichiarazione di incostituzionalità di tali norme.
Per questo, se condividete questa iniziativa di “inclusione” di respiro nazionale che parte proprio dal Mezzogiorno diretta ad affermare al diritto alla contrattazione collettiva dei ricercatori universitari precari, firmate e promuovete la petizione che lanceremo nei prossimi giorni sulla piattaforma Change.org.