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Spadafora o Vago alla guerra delle classi pollaio? Il toto ministro dell’Istruzione

Il toto ministro dell’Istruzione e le promesse contenute del contratto Lega-Cinquestelle su scuola e università. Ma le classi con più di 30 studenti sono lo 0,34 per cento

22/05/2018
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Corriere della sera

Per giorni si era parlato di Gianluca Vago, rettore uscente dell’Università degli Studi di Milano, gradito a Salvini (che lo aveva già preso in considerazione come candidato sindaco di Milano in funzione anti Sala) e non sgradito ai Cinquestelle. Ma nelle ultime ore il suo nome appare in pole per il ministero della Salute: toccherebbe quindi all’anatomopatologo brianzolo affrontare la grana dei vaccini sì vaccini no... Mentre per il ministero dell’Istruzione si fa sempre più insistente l’indicazione di Vincenzo Spadafora, braccio destro di Di Maio con un lungo e movimentato passato politico alle spalle: prima vicino all’Udeur, poi alla Margherita, nello staff di Rutelli quando era ministro dei Beni Culturali, nominato Garante dell’infanzia e adolescenza nel 2011 dagli allora presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani, eletto deputato per il M5S lo scorso 4 marzo; non si è mai laureato

No alla Buona Scuola

Qualunque sia il punto di atterraggio delle trattative Lega-Cinquestelle per la formazione del prossimo governo una sola cosa è certa, per quel che riguarda l’Istruzione. Il desiderio di sbarazzarsi della Buona Scuola, magari più a parole che nei fatti visto che alcuni degli slogan contenuti nel contratto firmato da Salvini e Di Maio ricalcano le promesse fatte dal governo Renzi quattro anni fa: dalla fine del precariato alla presa in carico dell’emergenza edilizia scolastica. Anche il riferimento a una cosiddetta «fase transitoria» per la stabilizzazione dei docenti a contratto è già previsto da uno dei decreti legislativi della legge 107 tanto che il Miur ha già dato il via libera nel 2018 a un concorso «pro forma» per tutti i docenti abilitati di seconda fascia che, a seguito di una prova orale, entreranno in una nuova graduatoria di merito da cui saranno poi assunti. Mentre il superamento della cosiddetta «chiamata diretta» dei prof da parte dei dirigenti (uno dei punti più contestati dai sindacati delle scuola in fase di approvazione della legge 107) metterebbe fine a qualcosa che in realtà non è mai davvero partita: da quando è stata approvata la Buona Scuola sono davvero una minoranza i dirigenti che hanno potuto o voluto usufruire della chiamata diretta, mentre nella maggior parte dei casi le assegnazioni dei docenti agli istituti vengono ancora fatte dall’Ufficio scolastico regionale. Quanto alla scuola-lavoro che i Cinquestelle promettevano di demolire punto e basta e la Lega voleva invece migliorare, le dichiarazioni finali nel contratto a doppia firma si sono fatte più generiche: così com’è «è da considerarsi dannoso» perché non c’è un reale controllo di qualità, ma non è chiaro se lo si voglia smontare del tutto o solo riformare.

Classi-pollaio: emergenza vera o presunta?

Pure la guerra dichiarata alle cosiddette «classi pollaio» non sembrerebbe una delle prime emergenze della scuola italiana. Secondo i dati «Education at a glance 2017», infatti, l’Italia è uno dei Paesi europei con classi meno affollate sia alle elementari che alle medie (con una media rispettivamente di 19 e 21 alunni contro i 21 e 24 dei tedeschi e i 23 e 25 dei francesi). Come sottolineato dal sito Tuttoscuola, se per classi pollaio si intendono quelle sopra i 30 alunni, in tutta Italia ce ne sarebbero 410 su 119.817: pari allo 0,34 per cento delle scuole superiori, che sono poi le uniche dove il sovraffollamento scolastico è oggettivamente un problema (da noi la ratio studenti prof è di 12 a uno contro i 10 a uno della Francia). Diverso è il caso se si considerano tutte le classi al di sopra dei 25 allievi (tetto fissato dalle norme antincendio) come avevano fatto i Cinquestelle nel loro programma elettorale in cui promettevano di fissare un tetto di 20 al massimo 22 alunni per classe (ma questi numeri sono scomparsi nella bozza finale del contratto siglato con la Lega). In quel caso una classe su due risulterebbe fuori legge. Il che porrebbe serissimi problemi per il reperimento di nuovi spazi con costi economici tutt’altro che indifferenti. Non è chiaro infine cosa s’intenda con l’annuncio che si vuole affrontare all’origine il problema dei trasferimenti «tenendo conto del legame dei docenti con il loro territorio». Com’è noto infatti c’è un problema demografico insolubile a monte: i docenti vengono per la maggior parte dal Sud mentre gli studenti sono concentrati al Nord.

Università e controllori vecchi e nuovi

Quanto al mondo dell’università e della ricerca il contratto sottolinea la necessità di incrementare le risorse ma poi non si sbilancia nell’indicare come, se non auspicando un maggiore sinergia con i privati. Si fa anche riferimento a un sistema di reclutamento più meritocratico e trasparente ma anche in questo caso non si dice come (anche l’abilitazione scientifica nazionale doveva servire a questo scopo e invece...). E se il riferimento alla volontà di ridisegnarne il ruolo dell’Anvur, l’ente di valutazione degli atenei, «per renderlo uno strumento per il governo e non di governo» è destinato a raccogliere il consenso di tutti i docenti universitari che in questi anni hanno protestato contro le mille pecche del sistema di valutazione della qualità della ricerca (la cosiddetta Vqr), non deve certo lasciarli sereni il fatto che nel dichiarare guerra ai «baronati» si auspichi un nuovo «sistema di verifica vincolante sullo svolgimento effettivo, da parte del docente, dei compiti di didattica ricerca e tutoraggio agli studenti».


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