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Parlando di scuola con Conte e Azzolina Il nostro futuro passa da lì

Il racconto dell’incontro con il premier e la ministra - Corrado Augias

24/07/2020
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la Repubblica

Chissà che non possa rivelarsi di qualche utilità l’incontro di ieri mattina a Palazzo Chigi sul problematico tema della scuola.

Non c’era un ordine del giorno, tema proposto volutamente generico, esposizione a cascata da parte dei nove intervenuti su invito del presidente del Consiglio Conte e della ministra dell’Istruzione Azzolina: Eraldo Affinati, Concita De Gregorio, Paolo Flores d’Arcais, Ernesto Galli della Loggia, Miguel Gotor, Marco Lodoli, Alberto Melloni, Michela Murgia, il sottoscritto.

Dei grandi ammalati dell’Italia, pubblica amministrazione, Giustizia, sistema sanitario, la scuola è quello da cui dipende più che da ogni altro l’avvenire.

Che cosa sarà questo paese, e gli italiani, nei prossimi decenni, si decide oggi nelle classi della scuola media, nelle aule delle università. Far esplodere questa parolina di sei lettere, scuola, frazionandola nelle sue innumerevoli componenti, nelle possibili conseguenze del suo funzionamento, nel peso che può avere sulla stabilità, sul prestigio, la capacità complessiva di sviluppo, significa investire i problemi più diversi, tutti emersi nel corso dell’incontro.

Dall’edilizia, al prestigio (e retribuzione) degli insegnanti, dalla dispersione scolastica all’efficacia dei vari insegnamenti, dalla sfida della cultura digitale all’effettiva professionalità di chi sta in cattedra, dall’ingerenza spesso dannosa delle famiglie, all’educazione sessuale nell’età del porno dilagante, alle discriminazioni di genere.

Aggiungo eccetera, perché l’elenco potrebbe continuare, in un’ottica allargata non c’è grande questione nazionale che non parta dalla scuola o vi arrivi.

I nove invitati avevano competenze, predilezioni, visioni politiche diverse, se si fosse approfondita la discussione sarebbero probabilmente emersi dei contrasti; la semplice enunciazione dei temi ha dato all’incontro lo svantaggio della genericità compensato però, almeno in parte, dall’esposizione di un ampio catalogo. Si può davvero dire che praticamente tutti i problemi sono stati posti sul tavolo. Definire la scuola una grande ammalata non significa che tutto vada male. Non è così: ci sono ragazzi diplomati in una scuola media italiana che primeggiano nelle università straniere; alcuni centri di ricerca (compresi quelli sul vaccino anti Covid) sono all’avanguardia; medici laureati in Italia guadagnano posizioni negli ospedali di mezzo mondo. È il bilancio complessivo ad essere preoccupante. L’Italia compare sempre nelle ultime posizioni per livello medio di acculturazione. Le lingue straniere vengono insegnate male, la musica è ignorata, l’integrazione digitale insufficiente, la dispersione scolastica drammaticamente alta. È stato citato il caso di due grandi città del Mezzogiorno, Napoli e Palermo, dove la dispersione sfiora la spaventosa percentuale del 40 per cento.

La discussione ha toccato anche il tema generale della ragion d’essere di un sistema d’istruzione. Quando il filosofo Giovanni Gentile, quasi un secolo fa, impostò la sua riforma, impose una visione precisa (ha retto, detto per la cronaca, fino agli anni Sessanta). Il liceo classico era il vertice del sistema con il compito di trasmettere la cultura umanistica; tutto il resto veniva dopo, compresa la formazione scientifica in un mondo dove già allora la tecnologia stava facendo passi da gigante. Una riforma di quel tipo oggi sarebbe improponibile, tuttavia l’economia italiana, i bisogni del paese, la concorrenza mondiale, chiedono a vari livelli una preparazione tecnico-scientifica che la scuola non dà abbastanza. La classe dirigente soffre, in particolare nei confronti internazionali, di evidenti insufficienze che non riguardano solo l’ignoranza delle lingue straniere (qualche volta dello stesso italiano). La scuola dovrà rimediare a queste lacune se non si vuole che l’Italia continui a scivolare verso il basso delle classifiche. La ministra s’è impegnata a far sì che torni ad essere un ‘ascensore sociale’. Il presidente del Consiglio è partito addirittura dalla denatalità per dire che la scuola in questo caso gli asili nido dovrà provvedere anche a questo. L’impressione finale è che i problemi siano ben chiari per chi dovrebbe risolverli. Se si troveranno mezzi, capacità, volontà politica, competenze per farlo davvero è una questione che resta aperta.


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