Pandemia, il prezzo pagato dai disabili
L'emergenza sanitaria sta esasperando i limiti strutturali del nostro sistema di istruzione nell'affrontare le esigenze dei più fragili. Per l'Istat il 23 per cento degli alunni con disabilità non riesce a seguire la didattica a distanza. Il racconto della madre di due bambini autistici
di Stefano Iucci
Avere figli disabili, oggi, in piena pandemia. Non è facile: alle normali difficoltà di una condizione non adeguatamente supportata in epoche normali – gli insegnanti di sostegno che mancano o che non hanno la specializzazione o che si alternano in un succedersi di supplenze – si aggiunge l’angoscia di una situazione che genera incertezze in tutti e che si aggravano ovviamente nei più fragili.
Ne sa qualcosa Flaminia Pollastri, madre di due bambini autistici che frequentano terza e quinta elementare nell’istituto comprensivo Maria Montessori di Roma. Sono in un certo senso fortunati, perché le scuole primarie dalla ripresa sono in presenza. “In realtà le difficoltà sono tante – spiega Pollastri –. Soprattutto il più piccolo paga ancora lo scotto del lockdown di marzo, che è stato durissimo. Aveva molta difficoltà negli incontri a distanza con le maestre e infatti di didattica vera e propria praticamente non ne ha fatta e ora si trova come è naturale molto indietro. Un po’ meglio è andata per il più grande, che però non riusciva comunque a mantenere l’attenzione per tutte quelle ore”.
E oggi? I problemi sono purtroppo quelli classici della scuola italiana a inizio anno – e non solo – e che non hanno nessuna relazione con il covid: “Per un mese il grande ha avuto sul sostegno un avvicendarsi continuo di diversi insegnanti di sostegno che ovviamente genera una mancanza di punti di riferimento – riprende la genitrice –. Il più piccolo ha scontato lo stesso problema con l’assistente educativo, che è cambiato rispetto a quello dello scorso anno”. È il tema fondamentale della continuità didattica: pedagogicamente assai rilevante per tutti e però ancor più per studenti con disabilità. Una condizione di disagio generale che esiste anche nella scuola in presenza: uso della mascherina, distanziamento, limitazione negli spostamenti a scuola e limitazione delle attività esterne, che ovviamente nei ragazzi con problemi particolari ha effetti più pesanti: “Il più piccolo è molto nervoso, la sera faccio molta fatica a farlo addormentare. Questa situazione si traduce in un forte stato di sovraeccitazione”.
Storie come queste, purtroppo, sono numerose. Proprio in questi giorni un rapporto diffuso dall’Istat (L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità a.s. 2019-2020) ha affrontato con dati statisticamente significativi il tema delle ricadute della pandemia sui percorsi di inclusione nella scuola italiana. Che la sospensione delle attività scolastiche in presenza, con il ricorso alla didattica a distanza e il lungo isolamento, avesse penalizzato i soggetti più fragili e, soprattutto per gli alunni con disabilità, avesse comportato un prezzo altissimo rispetto allo sviluppo cognitivo, psicologico e relazionale, è parso evidente fin dalle prime fasi dell’emergenza. Ma ora arrivano anche un po’ di numeri a confermare questa evidenza.
I livelli di partecipazione alle attività scolastiche dei circa 300 mila alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, con la pandemia – sostiene l’iIstat, sono diminuiti sensibilmente; tra aprile e giugno 2020, oltre il 23 per cento (circa 70 mila) non ha preso parte alle lezioni on line, rispetto all’8 per cento degli altri alunni iscritti. In più – problema nel problema – si registrano forti differenze territoriali: la quota degli alunni con disabilità esclusi dalle lezioni è molto più significativa nelle regioni del Mezzogiorno dove si attesta al 29 per cento.
Sono dati, in sintesi, che se da un lato confermano le criticità croniche in fatto di inadeguatezza di strutture e infrastrutture, precarietà del personale e carenza di insegnanti specializzati, dall’altro mostrano un quadro aggiornato e allarmante rispetto alle conseguenze della didattica a distanza sui percorsi di inclusione. Si tratta, commenta la Flc Cgil, di “una situazione che avrebbe richiesto, all’avvio del nuovo anno scolastico, un investimento straordinario per compensare carenze e recuperare ritardi. Al contrario, al di là dei proclami, poco è stato fatto e la ripartenza di settembre ha riproposto contraddizioni e inadempienze a cui la scuola italiana fa fronte da troppi anni”.
Del resto anche la bozza di legge di bilancio non dà risposte adeguate ai bisogni di una scuola autenticamente inclusiva. “L’incremento previsto in organico di diritto di 5.000 posti di sostegno a decorrere dall’anno scolastico 2021-2022, di 11.000 dal 2022-2023 e di 9.000 dal 2023-2024 è una goccia nel mare se si considera che i posti assegnati in deroga già lo scorso anno hanno sfiorato le 80 mila unità”, fanno notare alla Flc Cgil, che rilancia: “È necessario stabilizzare in organico di diritto i posti in deroga, serve un piano di formazione che consenta la copertura di tutti i post di sostegno da parte di personale specializzato, superando i limiti dei contingenti previsti per l’ammissione ai Tfa (i tirocini formativi attivi, ndr), occorre una procedura urgente e semplificata di assunzione dei docenti già formati e in formazione”.