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La scuola non inculca. La scuola educa! (E questo fa la differenza)

di Pino Patroncini

02/03/2011
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Che cosa ha detto esattamente Berlusconi sulla scuola pubblica lo possono sentire tutti riascoltando le registrazioni del suo intervento.

Le parole esatte sono le seguenti:

“…educare i figli liberamente e liberamente vuole dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare ai loro figli educandoli nella famiglia”
(sottolineature nostre).

Ebbene è da quell’inculcare, ripetuto due volte (cosa che non tutti i giornali hanno correttamente riportato), che bisogna partire perché è evidente che per il nostro premier la scuola non educa, inculca.

E non solo: anche la famiglia inculca!!!!
Ancora prima dell’offesa arrecata alla classe docente italiana e alla scuola pubblica, alla scuola di tutti, quella in cui è andato e ancora va il 93% degli italiani, quella che Berlusconi chiama “di Stato”, dimenticando sia il dettato costituzionale che ne impone allo Stato l’istituzione sia le ragioni storiche che da 100 anni hanno reso ciò necessario (corre giusto quest’anno il centenario della legge Daneo-Credaro, di cui probabilmente Berlusconi non ha mai sentito parlare), è questa parola “inculcare”, a cui Berlusconi affida il fine ultimo dell’istruzione tanto nella scuola quanto nella famiglia, che divide le nostre idee di educazione, di scuola e anche di famiglia dalle sue.

Qui probabilmente sta il fine ultimo delle misure che in tutti questi anni sono state messe in campo per demolire la scuola pubblica. Qui sta anche il senso del silenzio del Ministro Gelmini, che evidentemente condivide queste idee, dal momento che non solo non ha replicato al premier, ma anzi ne ha preso persino le difese, alludendo ancora una volta alla scuola pubblica come proprietà di una parte politica.

Se volessimo scherzarci sopra ci potrebbe venire il sospetto che l’attacco alla scuola di Berlusconi sia quello di un alunno un po’ somarello che se la prende con la scuola perché ha preso un quattro in storia e in geografia. Infatti pochi minuti prima di questa performance sulla scuola il nostro si è prodotto in una rielaborazione storica del tutto personale per cui:

  1. i laburisti inglesi vengono fatti discendere dai comunisti “ravveduti” (il nostro sembra non sapere che il Partito laburista fu fondato nel 1906 mentre il PC britannico nacque 14 anni dopo, nel 1920, e che quest’ultimo, a differenza di altri gruppi di sinistra, non fu nemmeno mai ammesso nella struttura federativa laburista);
  2. la città di Goteborg, che sta in Svezia, viene confusa con Bad Godesberg che sta in Germania;
  3. in questa città dal nome equivocato sarebbero stati i comunisti tedeschi e non i socialdemocratici (come in realtà avvenne a Bad Godesberg nel 1959) ad abbandonare il marxismo.

Evidentemente non sono bastate le frequentazioni craxiane a far conoscere a Berlusconi la storia dei socialisti, così come i suoi strafalcioni storico-geografici non fanno certo fare una bella figura alle scuole salesiane che nello stesso intervento Berlusconi si diceva orgoglioso di aver frequentato.

Ma, ahinoi, la cosa è più seria di quanto vorremmo e sommata al costante smantellamento della scuola pubblica operato dal governo attraverso ogni sorta di taglio alla spesa, all’incuria servile e giustificazionista del Ministro della Istruzione, alla costante campagna mediatica contro la scuola e al martellamento ideologico a cui siamo ormai abituati dall’oratoria berlusconiana, all’idea che, oggi nella scuola ieri nella magistratura, dovunque ci siano persone che hanno solo la colpa di fare il proprio dovere ci sia un complotto comunista, l’unica cosa che ci fa venire in mente sono le parole che nel 1950, in tempi insospettabili persino per un premier sospettoso e “complottofobo”, pronunciò Piero Calamandrei: “Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle…”


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