La rivolta contro l’e-learning
«Il progetto volutoda Zuckerberg creaansia tra gli alunni»Anche in Italia gli esperti si dividono
Michela Rovelli
Scoppia una strana protesta in una remota scuola del Kansas. Il bersaglio non è un insegnante né un preside, ma un sistema all’avanguardia che prometteva di rivoluzionare la didattica. E che ha invece scatenato polemiche, ansie e stress tra gli alunni.
L’accusata si chiama «Summit» ed è una piattaforma di e-learning sviluppata in collaborazione con la «Chan Zuckerberg Initiative», la fondazione filantropica fondata da Mr. Facebook e consorte. Zuckerberg ha «dedicato» un team di ingegneri a realizzare lo strumento, che si basa sull’apprendimento personalizzato: i software analizzano il livello di preparazione dello studente e propongono il migliore percorso di studio per lui.
Tra le scuole pubbliche a cui la fondazione ha permesso di usufruire gratuitamente della piattaforma c’è anche quella di una piccola cittadina nello stato del Kansas, Wellington, dove l’istruzione pubblica ha pochi fondi e i risultati degli alunni sono inferiori alla media nazionale. Racconta il New York Times che otto mesi dopo l’arrivo del programma «Summit» da un sondaggio è risultato che il 77% dei genitori preferirebbero che i propri figli smettessero di usarlo e oltre l’80% degli studenti si dichiara perplesso riguardo al nuovo sistema. «Alcuni sono tornati a casa con il mal di testa e i crampi alle mani. Altri hanno sviluppato ansie e stress». Conseguenze delle troppe ore davanti allo schermo e del senso di solitudine dato dalla mancanza di interazione con compagni e insegnanti. La piccola rivolta del Kansas ne segue altre qua e là nel Paese (da Brooklyn all’Indiana) contro la piattaforma di Zuckerberg, ad oggi utilizzata da 74mila studenti in 380 scuole. A questo si aggiungono i dubbi sulla raccolta massiva di dati su comportamenti e attitudini di migliaia di minori.
L’ombra sulle potenzialità degli strumenti digitali in classe si sta allargando: nella stessa Silicon Valley da anni molti dirigenti scelgono per i propri figli un’istruzione tradizionale, lontano da schermi e da lezioni guidate dall’intelligenza artificiale. «La tecnologia è utile se ben impiegata. Bisogna trattarla con cautela. Se non ci sono professori preparati e infrastrutture adatte è meglio non usarla», spiega Enrico Nardelli, professore di informatica all’università Tor Vergata e coordinatore del progetto Programma il Futuro, creato dal Miur. E sui sistemi di personalizzazione dell’apprendimento rimane scettico: «È complicato organizzare una lezione e adattarla anche solo a una singola classe, dipende da molti fattori. Io non credo che la tecnologia dell’e-learning riesca ad essere così sofisticata».
Più positivo è Alfonso Molina, professore di Strategie delle Tecnologie a Edimburgo e direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale, che lavora per coniugare istruzione e innovazione: «Se una piattaforma si utilizza in forma esclusiva e l’interazione con l’insegnante si riduce al minimo non va bene. Ma associato ad altri metodi didattici, è un elemento che arricchisce. Personalizzare l’istruzione permette di avere studenti più motivati». È una grande sfida e non porta all’alienazione davanti al pc, assicura Molina: «Personalizzare non significa affidare l’istruzione a uno strumento, ma raggruppare un insieme di attività adatte allo studente». Per farlo al meglio, sono fondamentali gli insegnanti: «Dovranno diventare dei direttori d’orchestra, gestendo strumenti diversi, digitali e non».