La lode è solo un premiolino
Chiara Saraceno
Aumentano gli studenti che si diplomano alla maturità con la lode e diminuisce l’importo del premio loro destinato, perché il budget rimane lo stesso. Dai 1.000 euro destinati ai fortunati diplomati eccellenti nel 2007 si è rapidamente scesi a 600, poi 500, e poi sempre meno, con oscillazioni sopra e sotto i 300 euro, fino a scendere a 255 lo scorso anno, somma confermata anche per chi si diplomerà con la lode quest’anno. Meglio che nulla, si dirà.
Ma un conto è ricevere un premio che consente di pagarsi un viaggio serio, o l’iscrizione al primo anno di università, un altro un contributo per comprarsi un cellulare nuovo. E comunque legare l’entità del premio al numero degli eccellenti manda un messaggio contraddittorio. Quasi che all’aumento degli eccellenti diminuisse il loro valore individuale. Se non ci sono le risorse, forse allora è meglio cambiare tipo di riconoscimento, con minore valore venale e maggiore impatto simbolico. A meno che la, non confessata, motivazione a non ampliare il budget per far fronte all’aumento dei diplomati con il massimo dei voti fosse il sospetto che la maturità sia diventata troppo facile o che l’indubbio squilibrio numerico a favore del Mezzogiorno sia dovuto alla non omogeneità territoriale nei criteri di valutazione delle commissioni di esame. In questo caso, diminuire il premio sarebbe una soluzione ipocrita, che danneggia tutti i bravi indiscriminatamente, senza correggere le eventuali storture di cui non sono certamente responsabili gli studenti, bravi e meno bravi.
A questo proposito trovo abbastanza sorprendente, e più grave della riduzione del premio per i diplomati eccellenti, la decisione di togliere i risultati delle prove Invalsi, che a differenza degli esami di maturità sono omogenee per contenuto e criteri di valutazione su tutto il territorio nazionale, dal curriculum dello studente allegato al diploma di maturità. Una decisione "a tutela degli studenti", oltre che dei docenti, secondo il senatore Fratojanni che la ha fortemente voluta. Come se a danneggiarli non fosse l’eventuale carenza di competenze adeguate in italiano, matematica e inglese, ma la certificazione della stessa in modo obiettivo e standardizzato. Non l’unico strumento di valutazione, certo, oltre che perfettibile. Ma utile non solo al ministero, alla scuola, agli insegnanti, a capire che cosa non va e dove occorre intervenire, ma anche ai singoli studenti e alle loro famiglie, per individuare le proprie criticità, e ai diplomati per presentarsi con qualche informazione in più, oltre al voto di maturità, nel mercato del lavoro o nei percorsi di formazione successivi. Mentre si può discutere se, in un contesto segnato da profonde diseguaglianze di risorse e opportunità anche tra i bambini e ragazzi, sia opportuno premiare il merito senza prima mettere tutti in condizione di sviluppare appieno le proprie capacità, certamente la via per superare le diseguaglianze non è quella di nascondere le deficienze e disomogeneità nelle competenze.
Aggiungo che questa decisione danneggia gli studenti, specie dei ceti più modesti, che non possono avere così la certificazione europea sulle capacità di comprensione e uso della lingua inglese che le prove Invalsi in inglese fornivano ed è utile sia per l’università sia sul mercato del lavoro. Non potendo usare quella Invalsi, dovranno rivolgersi ad agenzie di certificazione a pagamento. Bel risultato, in nome delle pari opportunità e dell’uguaglianza tra studenti.