L´ita(g)liano a scuola sempre più sconosciuto
di Marco Lodoli
I dati sono chiari, spietati nella loro oggettività, incontestabili, e ci rivelano una verità che purtroppo conoscevo già da tempo: gli studenti italiani non sanno più scrivere. In tanti anni di insegnamento, dopo aver letto e corretto migliaia di temi, posso affermare con triste sicurezza che sono pochissimi i ragazzi capaci di sviluppare un ragionamento scritto.
Capaci di argomentare, esemplificare, cucire le parole e le frasi tra di loro secondo logica e fantasia. Gli errori sono tanti, le concatenazioni sono slabbrate, il periodare è sgretolato, il lessico poverissimo. Sembra quasi che traducano pensieri ed emozioni in una lingua straniera, come quando cerchiamo di farci capire in inglese o in francese, già contenti se qualcuno più o meno ha compreso di cosa stiamo parlando, cosa ci serve, dove siamo diretti.
Resta da capire da dove nasce questo smarrimento linguistico, come mai un diciottenne italiano fatica tanto ad esprimersi nella sua lingua. Certo, si legge poco, i libri sono considerati una noia mortale e anche i giornali sono visti come forme di un´altra epoca, reperti storici che misteriosamente continuano a uscire tutti i giorni. Ma forse la magagna sta ancora prima, nelle modalità del pensiero. Si scrive male perché non c´è più fiducia e confidenza nel pensiero, perché sono saltati i nessi logici, la capacità di legare una riflessione a un´altra, un aneddoto a una considerazione, un prima a un poi.
La lingua in fondo è soprattutto l´arte di annodare, incollare, saldare, è lo strumento fondamentale per dare un ordine al caos delle sensazioni e delle esperienze. Scrivendo ogni strappo si ricuce, ogni attimo si connette all´attimo seguente, l´informe trova una forma e quindi una possibile spiegazione. Ma i ragazzi della scuola non sentono più il bisogno di mettere a punto questo strumento: dicono qualcosa e poi il contrario, avanzano a salti, per intuizioni immediate, senza più la voglia di mettere le cosa in fila nel pensiero e nella scrittura. Ridono, piangono, si arrabbiano, sono felici, vivono il caos senza credere più nella logica, vivono la vita senza parole e senza sintassi.