Il federalismo «malato» Autonomia, è scontro sulla scuola regionale
Il federalismo «malato»
La Lega: in Cdm il 22 ottobre 11 Veneto a un anno dal referendum M5S: no a strappi contro il Sud chiede risorse in base alla ricchezza IL
Marco Esposito
L'anniversario si avvicina. E il Veneto il 22 ottobre vuole festeggiare un anno dal referendum con il varo in Consiglio dei ministri del disegno di legge per l'autonomia differenziata. Il testo messo a punto dal ministro degli Affari regionali Erika Stefani e dal governatore Luca Zaia è ancora in fase di limatura. I leghisti, è naturale, sono compatti. Però i Cinquestelle, sia pure con molte sfumature al loro intemo, non hanno intenzione di approvare una riforma che possa danneggiare il Mezzogiorno. L'elettorato M5s è già deluso dalla retromarcia rispetto agli impegni elettorali su Uva e Tap e dalla reazione leghista alla sola ipotesi di sconti sulla Rc auto. L'autonomia differenziata, a dispetto di quanto possa sembrare, non è affatto una questione locale dei veneti (e a seguire dei lombardi, degli emiliani e così via perché stravolge l'assetto dei sistema Italia. Cambia l'organizzazione dei servizi, soprattutto per la regionalizzazione della scuola. E cambia l'attribuzione delle risorse, che il Veneto vorrebbe in proporzione al gettito fiscale del territorio, ovvero alla ricchezza. L'autonomia, va precisato, è nel contratto di governo e la sua attuazione è stata persino ribadita nel Def. I Cinquestelle quindi non faranno muro. Però stanno provando a cambiare il testo del Veneto nei punti in cui è evidente il contrasto con i principi della costituzione: i fabbisogni standard. Il Veneto infatti chiede che i fabbisogni siano calcolati in relazione «al gettito dei tributi maturati sul territorio regionale». Un'affermazione che a Zaia appare naturale (verso più tasse, mi spettano più soldi) ma che come ha spiegato a Napoli l'ex presidente della Corte costituzionale Cesare Mirabelli fa a cazzotti con i principi di uguaglianza fissati in Costituzione, perché certificherebbe che il fabbisogno di scuole dipende non dal numero di alunni ma dalla capacità fiscale di un territorio. Il Veneto punta ai nove decimi del gettito delle imposte pagate in Veneto e ciò equivale a sottrarre 3 miliardi di euro l'anno dalla cassa comune, soldi che andrebbero tolti all'istruzione e agli altri ventidue servizi. I Cinquestelle - in questi giorni alle prese con una raffica di incontri preparatori - hanno provato a correggere la bozza Stefani-Zaia mettendo sul tavolo la necessità di approvare i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni. Dalla Lega non è arrivata una chiusura. Se si regiona lizza la scuola, è il ragionamento, dobbiamo prima definire che livello di scuola vogliamo, un po' come si è fatto con i Lea nella sanità. La Commissione tecnica fabbisogni standard, peraltro, in queste settimane sta calcolando i fabbisogni regionali per tutti i servizi esclusa la sanità, concentrandosi sulle attuali competenze delle Regioni. E il lavoro avviato potrebbe essere esteso alle 23 ulteriori materie chieste dal Veneto, fra le quali appunto l'istruzione. Regionalizzare la scuola e attribuire i corretti costi, in ogni caso, non sarà facile. Il corpo insegnanti in Italia è il più anziano d'Europa ma con marcate differenze regionali: l'età media è elevata al Sud, segnatamente in Calabria e in Basilicata. Nulla di sorprendente, visto che il percorso standard di un insegnante meridionale vede un concorso vinto al Nord e poi un lento avvicinamento al suo territorio d'origine. Tuttavia la rigidità del sistema retributivo dei docenti, legato all'anzianità di servizio, prevede una retribuzione netta iniziale di 1.350 euro mensili e una finale di 2.000 euro. Ciò porta costi medi elevati nel Mezzogiorno. Nessun problema, in un sistema nazionale. Ma un problema gigantesco nel momento in cui il sistema si fa di colpo regionale. Quindi il numero di alunni per docente è omogeneo sul territorio, intomo a quota 10, mentre il costo unitario per insegnante è molto diverso. Secondo i Conti pubblici territoriali, le amministrazioni centrali spendono per la voce istruzione e cultura 583 euro procapite in Veneto, 791 in Campania e 847 in Calabria. Se il Veneto (al di là della pretesa di ottenere più risorse in quanto più ricco) imponesse l'immediato passaggio a un livello di risorse identico alla media nazionale (669), si troverebbe di colpo più denari in cassa, somme sottratte al sistema d'istruzione nazionale. Tuttavia le scuole del Sud non hanno nessuna responsabilità per l'eccesso di spesa, in quanto non è frutto di inefficienze bensì della stratificazione nel tempo di un sistema che vede gli insegnanti giovani impegnati al Nord e quelli con molti anni d'insegnamento sulle spalle presenti nelle aule del Mezzogiorno. Un tema delicato e difficile affrontare in fretta per soddisfare il desiderio, pur legittimo, di sventolare la bandiera con il Leone di San Marco il prossimo 22 ottobre.