I prof regionali pagati 200 euro in più (ma solo al Nord)
Le bozze: i docenti potranno rinunciare allo stipendio statale. Ecco le conseguenze
Corrado Zunino
Il consenso che si vuole creare attorno alla futura scuola regionale — la scuola lombarda e la scuola veneta — è tutto nell’ipotesi di stipendi migliori per maestri e professori che vorranno abbracciare l’opportunità. Oggi la busta paga iniziale di un docente di scuola media e superiore è di 1.350 euro il mese (per tredici mensilità). Le cifre che i rispettivi governatori del Nord fanno immaginare di fronte a un’autonomia differenziata realizzata indicano un aumento del 10-15 per cento.
Sono 150-200 euro in più, ogni mese, dall’infanzia al quinto liceo.
A queste cifre i presidenti leghisti arrivano ispirandosi alle due Province autonome di Trento e Bolzano (ancora più ricche delle due regioni che oggi chiedono la revisione dell’articolo 116). Là i nove decimi delle tasse pagate sul territorio restano a casa e in quel modo gli stipendi degli insegnanti di Bolzano riescono a pesare un 30 per cento in più di quelli pagati nel resto d’Italia (a Bolzano, però, i docenti garantiscono 220 ore l’anno in più rispetto all’orario standard).
Per arrivare a questo obiettivo — docenti meglio retribuiti in Lombardia e Veneto e più stanziali, risorse dell’Ufficio scolastico regionale e degli Uffici d’ambito territoriale, oggi di Stato, trasferite alla Regione — si dovrà passare attraverso la creazione di altri quattro binari (quattro per regione) sui cui correranno i concorsi, le assunzioni, i precari ancora senza cattedra: la novità riguarderà sia i docenti di ruolo che quelli a tempo determinato.
Ecco, l’autonomia differenziata creerà un percorso per gli assunti in ruolo a livello regionale, un altro per la prima fascia regionale, un altro ancora per la seconda regionale, uno infine per la terza regionale. Affiancheranno e raddoppieranno i quattro binari già esistenti sul piano nazionale. Il sistema italiano, però, da trent’anni non funziona: continua a produrre precariato e buchi nell’orario. La sua duplicazione su base regionale fa temere per la tenuta del sistema. Anche i concorsi, in queste due regioni che patiscono la scarsità di docenti nelle materie scientifiche, saranno banditi su base territoriale: la mobilità resta però garantita in tutto il Paese. Non è un caso che il ministro Bussetti stia insistendo, al di fuori della partita "autonomia differenziata", per imporre a tutti i neoassunti l’obbligo della stessa cattedra per cinque anni.
Per ottenere i fondi, nonostante le assicurazioni della ministra leghista Erika Stefani, non si potrà che attingere alle risorse generali togliendo disponibilità e servizi alle altre diciotto regioni, a partire dalle scuole del Sud.
Nelle tre regioni del Nord che chiedono l’autonomia differenziata — ma l’Emilia vuole più poteri solo sull’istruzione tecnico-professionale — lavora il 23 per cento dei docenti: sono 176 mila. Solo Lombardia e Veneto hanno chiesto le graduatorie parallele su base volontaria: significa che entro un anno dall’approvazione della legge un docente, un preside, un amministrativo potranno chiedere di essere trasferiti alla nuova scuola regionale.
L’aumento di stipendio per chi sceglierà l’opzione "autonomia differenziata" sarà possibile solo sul contratto integrativo: gli accordi nazionali resteranno intoccati.
Sotto la potestà delle due regioni, nelle bozze di accordo che domani sera saranno portate in Consiglio dei ministri, entrano: l’offerta formativa (anche in funzione del territorio), la valutazione (con il varo di nuovi indicatori regionali), l’Alternanza scuola lavoro, le scuole paritarie. Lombardia e Veneto sono interessate agli sbocchi lavorativi dell’istruzione italiana e ora vogliono l’intera programmazione professionale, il rapporto con le imprese, l’organizzazione dell’istruzione per gli adulti e degli Istituti tecnici superiori (Its) che già garantiscono occupazione. Ancora, nel testo si chiedono più risorse interne per l’edilizia scolastica.
La bozza presentata dalle due Regioni — identica — sull’istruzione, interviene anche sull’università e la ricerca tecno-scientifica. Lombardia e Veneto vogliono partecipare alla programmazione per istituire corsi negli atenei «che favoriscano sviluppo economico». Lombardia e Veneto assicurano, in proprio, la nascita di fondi pluriennali per il diritto allo studio (borse) e le residenze universitarie.