Fine della chiamata diretta dei prof, rivolta dei presidi: alunni danneggiati
Antonello Giannelli, presidente Anp: «Così le scuole non potranno più scegliere il personale di cui hanno bisogno». Ma in realtà la chiamata diretta era già stata svuotata dai governi precedenti con gli accordi sulla mobilità straordinaria dei prof
Orsola Riva
Rivolta dei presidi, di una parte almeno, contro la cancellazione della chiamata diretta dei docenti che era stata voluta dal governo Renzi ma in realtà non è mai decollata davvero in questi quasi tre anni dall’approvazione della cosiddetta Buona Scuola. Antonello Giannelli, presidente dell’ANP, il sindacato dei dirigenti scolastici, contesta soprattutto la modalità con cui si è proceduto all’abrogazione di questo dispositivo della legge 107: «Ancora una volta si pretende di modificare una norma di legge imperativa con un accordo contrattuale tra parti, cosa che nel nostro ordinamento non sarebbe consentita». In attesa infatti di un intervento legislativo per la definitiva abrogazione della chiamata diretta, la sua sospensione fin dal prossimo avvio di anno scolastico è stata decisa da un accordo fra il neo ministro Marco Bussetti e le parti sindacali.
Sogno o realtà?
«Con l’accordo sindacale di oggi - ha dichiarato il nuovo responsabile di viale Trastevere - si dà attuazione a una precisa previsione del contratto del governo del cambiamento, sostituendo la chiamata diretta, connotata da eccessiva discrezionalità e da profili di inefficienza, con criteri trasparenti e obiettivi di mobilità ed assegnazione dei docenti dagli uffici territoriali agli istituti scolastici». D’ora in poi i presidi non potranno più chiamare i docenti più adatti alle proprie necessità pescandoli dall’ambito territoriale; saranno invece gli uffici scolatici territoriali a catapultarli nelle scuole seguendo un rigoroso ordine di precedenza dettato dai titoli e dal punteggio di mobilità. Addio al sogno - perché questo finora era stato - di una scuola dotata del personale più adeguato alle proprie esigenze. In realtà la chiamata diretta non era mai davvero decollata: troppo forte il disallineamento fra domanda e offerta, troppi i compromessi in corso d’opera. Nonostante le quasi centomila assunzioni fatte con la Buona Scuola, al Nord continua a esserci penuria di alcune classi di concorso ricercatissime come matematica alle medie ma anche italiano lingue e sostegno, e sovrabbondanza di altre come arte musica diritto e ginnastica. Perciò spesso il dirigente aveva un bel cercare nell’ambito territoriale di sua competenza il docente giusto per la sua scuola: non c’era punto e basta. Mentre quelli che c’erano non erano quelli che sarebbero serviti. E infatti per la maggior parte venivano già assegnati d’autorità dall’ufficio scolastico territoriale, anche prima dell’accordo di ieri con i sindacati.
La Buona Scuola svuotata di fatto dal governo che l’aveva voluta
La situazione era talmente poco chiara che l’estate scorsa un manipolo molto agguerrito di quasi 500 dirigenti aveva scritto alla ministra Valeria Fedeli spiegando che loro si sarebbero comunque rifiutati di procedere con la chiamata diretta: troppe responsabilità, troppe contestazioni. Lo stesso Giannelli oggi precisa che i dirigenti scolastici non sono innamorati di questo istituto in quanto tale: «Questa abrogazione - dice - potrebbe fare comodo anche ai presidi che hanno un obbligo in meno, ma questa modifica crea danno all’utenza. L’istituto della chiamata diretta era positivo perché consentiva di scegliere i docenti più adatti per l’offerta formativa della scuola, permettendo di adattare il servizio alle esigenze dei ragazzi». Almeno in teoria: di fatto, come dice lo stesso Giannelli, la chiamata diretta era già stata svuotata di senso perché, sempre in seguito ad altri accordi con le parti sindacali, si è consentito ai docenti di accedere alla cosiddetta mobilità straordinaria e di spostarsi dalla loro sede e questo ha portato via dalle scuole gran parte dei docenti che i dirigenti avevano scelto. La mobilità straordinaria è stata la prima vera zeppa messa negli ingranaggi della Buona Scuola che prometteva di porre fine alla supplentite e alla girandola dei prof abolendo il precariato e costringendo i neo assunti (o neo trasferiti) a restare almeno per tre anni nella stessa scuola. Poi l’emergenza causata dal meccanismo di stabilizzazione dei precari su base nazionale imposto dalla Buona Scuola e le proteste dei docenti «deportati» da Sud a Nord, hanno costretto il governo a rinunciare a questa importante clausola consentendo ai neo assunti di restare vicino a casa per altri due anni, ma lasciando così scoperte le cattedre a loro assegnate al Nord. Conclude Giannelli: « Se non vogliamo un miglioramento della qualità del servizio basta esserne consapevoli, ma probabilmente il Miur non ha compreso che l’istituto della chiamata diretta aumentava la qualità del servizio». O almeno avrebbe voluto farlo (ma, come si sa, le buone intenzioni remano in direzione opposta alla strada per il Paradiso).