Bianchi: “Apriamo con voi il cantiere scuola”
Intervista al Ministro dell'Istruzione
Riccardo Luna
«Stiamo lavorando per ridare a questo paese una cosa che in questi anni è mancata: la centralità della scuola. Per questo dico: apriamo qui, assieme, un cantiere sulla scuola del futuro, sui contenuti della scuola e sul modo di trasmetterli. C’è una grandissima voglia di aprire una fase nuova ». Il ministro Patrizio Bianchi è negli studi di Repubblica tv ospite di TechTalk, l’appuntamento quotidiano per parlare di tecnologia, innovazione e futuro di Italian Tech.
E nel rispondere alla domanda: a che cosa serva spendere tanti soldi per portare la banda ultralarga in tutte le scuole con i fondi del Pnrr, se la didattica resta la stessa del secolo scorso, racconta la sua idea di scuola.
Partiamo dall’anno scolastico appena finito: l’anno della Dad è concluso. Si può dire finalmente?
«La didattica a distanza ha insegnato a tutti che ci sono anche altri mondi. Possiamo archiviare quell’esperienza ma dobbiamo saper trarre vantaggio da quello che abbiamo imparato».
Perché è sostanzialmente fallita?
«Non sono convinto di questo. La didattica a distanza è arrivata non come alternativa alla presenza ma all’assenza. Senza, c’era solo l’abbandono. Sono emerse problematiche, è vero, ma c’erano anche prima».
Possiamo dirlo che fare sei ore di lezioni frontali via video come se fossimo in classe è stato un errore?
«Sì e non è colpa della Dad. il problema è che siamo arrivati a questa fase avendo ancora un modello di didattica tutto in presenza e trasmissiva: il docente parla e lo studente ascolta. Con la pandemia abbiamo messo nel mezzo un computer. La colpa non è del computer: dobbiamo affrontare il tema di come si riorganizza e rivitalizza la scuola oggi».
Gli insegnanti dovrebbero tornare a scuola per imparare a insegnare in modo nuovo?
«Tutti dobbiamo tornare a scuola.
Tutti noi che abbiamo scoperto che un lavoro si può fare anche a distanza. Dobbiamo fare un reskilling del paese intero. Anche i mestieri più tradizionali per essere fatto al meglio hanno bisogno di investimenti in formazione. I lavori non sono più quello di prima. E neanche la scuola. La presenza è fondamentale ma va usata diversamente dalla lezione frontale, per fare ragionamenti insieme. E dobbiamo saper incrociare i saperi».
La scuola è rimasta indietro?
«La scuola è lo specchio del paese.
In questo anno c’è stata tantissima innovazione. Abbiamo raccolto una biblioteca di casi su come si può insegnare e imparare diversamente, ed è un archivio che mettiamo a disposizione di tutti. Il problema è che in questo paese gli innovatori non si conoscono, dobbiamo dare loro voce per dimostrare che si può fare».
Come trasformare le scuole con il digitale?
«Partendo da una considerazione.
Tutti i ragazzi che vanno a scuola sono nati in questo secolo, tutti gli insegnanti nel secolo precedente.
Non è una differenza da poco. I ragazzi hanno una capacità innata di utilizzare gli strumenti digitali.
Dobbiamo, già da questa estate, promuovere una scuola più aperta, consapevole del fatto che le competenze del passato possiamo esprimerle in modi diversi; ma anche del fatto che con queste macchine, possiamo fare cose mai fatte prima. Dobbiamo usare il digitale per aprire le scuole, connetterle fra loro».
Siamo nel mezzo di una rivoluzione tecnologica: quale deve essere la missione della scuola?
«Prendiamo il settore manifatturiero. Molte attività sono automatizzate. Il rischio è avere sopra l’esperto di robot e software, una parte della società colta e connessa che vive bene; e avere sotto, tutti gli altri che fanno lavori talmente poveri che non hai neanche bisogno di comprare le macchine al posto loro. Chi sta in basso invidia chi sta in alto, e gli altri hanno paura di quelli sotto, ma così la società si spacca. La ricucitura su base nazionale e su base sociale spetta alla scuola. Ma in futuro non dovrà più rendere evidenti le diseguaglianze, come avvenuto in pandemia, ma essere il luogo dove si riducono perché tutti hanno le stesse opportunità. Da qui si parte per ricostruire il paese».